venerdì 31 agosto 2012

Il Cardinale

 E’ morto il cardinale, il cardinal Martini.
Di lui ho alcuni ricordi. Siamo sul finire del settembre 1988 a Milano, nella cascina Molino Torrette nel cuore del parco Lambro. Un cascinale di proprietà del comune di Milano concesso  in comodato all’opera don Calabria,  consegnata dall’allora sindaco Pillitteri a don Antonio Mazzi, fondatore del gruppo Exodus.  Insieme ad alcuni altri educatori siamo stati i pionieri, operatori della comunità del parco Lambro, trasferiti da via Pusiano sede della congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza al rudere di via Marotta. 
Il cardinale insieme a don Mazzi esce dall’auto per visitare la cascina ancora da sistemare; il disordine, i mobili improvvisati ad arredo regalati da qualche amico, alcune parti del tetto gravemente compromesso.
C’erano alcuni giovani frequentanti il neonato centro diurno (il primo a Milano) inviati dagli allora NOT (nuclei operativi tossicodipendenze), ed un paio alloggiati provvisoriamente in forma stanziale in una camera sistemata alla bell’e meglio.
Siamo rimasti sotto il porticato, con un tavolo da ping pong posto contro il muro e una decina di sedie a cerchio. Una volta terminato il giro del cascinale occupiamo posto a sedere e il cardinale incomincia a parlare della grave sfida educativa che ci attendeva. Delle difficoltà (“quelle economiche sono sempre superabili ma dovrete fronteggiare quelle culturali, quelle fatte di pregiudizi e di indifferenza”), delle gioie (“la sfida educativa è la lotta che l’uomo ingaggia per continuare l’opera di dio, per fare si che l’uomo s’avvicini sempre più al volto paterno e materno di dio”) e della sofferenza(“la compassione, lo stare vicino a chi soffre è la cifra più alta dell’umanità”).
Chiese poi a ciascuno di noi da dove venissimo, quali studi avessimo fatto, le motivazioni del nostro essere lì tra i tossici, i disperati, i malati.
Il cardinale rimase con noi un paio d’ore ascoltandoci, informandosi delle nostre necessità, delle nostre paure, dei fallimenti e dei sensi di sconforto. Gettava luce sulla grandezza dell’uomo, anche e ancor di più quando piegato dall’AIDS e crocifisso; anche quando nessun altro, neppure madre o padre, scommette più nulla sul proprio figlio.
Ci propose di recitare il Magnificat e alcuni di noi non sapevano le parole. Il cardinale pose l’accento su due passi:  “…grandi cose ha fatto di me l’onnipotente…” e “…ha innalzato gli umili…”.
Ho colto  nella breve esegesi che fece l’intima connessione tra la chiamata speciale (per ciascuno c’è una chiamata e per questo è speciale; e lo è doppiamente perché il Signore è fiducioso e affida ad ognuno il compito di fare grandi cose nella/della vita) e il servizio che è compito di tutti e pressante ancor di più per i cristiani, di promuovere la pace e la giustizia, rimuovendo ogni ostacolo nel tentativo di dare/ridare consapevolezza e dignità agli uomini soprattutto a chi è piegato nel corpo e nello spirito.
Nella semplicità e nella cordialità dell’incontro ho trattenuto la prossimità, il sincero ascolto e l’intima vicinanza che è rimasta a noi, alla comunità.
Ci salutò stringendoci la mano e accogliendoci con un abbraccio.




giovedì 16 agosto 2012

La chiesa i cristiani e le guerre

Sono sui monti disseminati di morti, bagnati dal sangue di decine di migliaia di morti. la retorica li chiama(va) la "meglio gioventù". A girare per trincee e gallerie, a ripercorrere le strade dei "sacri monti". M'inchino ai morti, a chi è caduto nel fiore degli anni. Ovunque su queste cime si trovano cippi lapidi croci a ricordo di soldati uccisi italiani austriaci francesi... Solo ieri ho letto il paginone di Avvenire dell' 8 Agosto scorso dedicata  "agli eroi per la pace".
In essa si diceva: «Essere cristiani ed essere militari non sono dimensioni divergenti, ma convergenti, perché la condizione militare trova il suo fondamento morale nella logica della carità».
No, non mi riconosco in queste posizioni che sono naturalmente "autorevoli" poichè oltre che pubblicate dal quotidiano dei vescovi italiani, espresse dall'ordinario militare il vescovo monsignor Pelvi. 
Sottoscrivo (e invito i lettori del mio blog a fare altrettanto) la lettera-appello di Pax Christi che qui riporto.

 

Lettera – appello di Pax Christi

Davanti ad ogni vita umana stroncata è doveroso un rispetto profondo. Ma proprio in nome di tutte le vittime delle guerre, chissà quanti lettori di Avvenire sono rimasti scossi per quell’intera pagina dedicata agli “eroi per la pace”, e a quella realtà così “convergente” di soldati e cristiani. (8 agosto 2012, pag.3).
Ecco, lo diciamo forte: è davvero insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e asfissiante.
Da sempre l’esperienza cristiana ci ha impegnato nella cura della “missione” e ci scandalizziamo ogni volta che un cristiano infanga questo valore confondendolo con le guerre -chiamate appunto “missioni di pace”- ma in realtà “avventura senza ritorno”.
Da sempre abbiamo presentato ai cristiani gli eroi della fede e ci scandalizziamo se ora volete rappresentarli con le armi in mano e, per nascondere le responsabilità di tanto sangue versato in questa “inutile strage”, fate diventare “eroi per la pace” questi giovani strappati alla loro vita, vittime della guerra.
Ci colpisce non veder affiorare nemmeno uno degli interrogativi che gli italiani e i cristiani si pongono ormai da anni, assistendo alla fallimentare carneficina afgana: La nostra presenza militare in Afghanistan costa 2 milioni di euro al giorno, e quali sono i risultati? Se li avessimo investiti in aiuto alla popolazione con ospedali, scuole, acquedotti non avremmo forse tolto consenso ai talebani e ai signori della guerra? E delle vittime in ‘campo nemico’ chi se ne occupa? Abbiamo i numeri esatti dei morti e feriti italiani! E quante sono le vittime irachene o afghane? Forse dobbiamo rassegnarci a considerare le migliaia di esseri umani uccise in questa assurda guerra solo “effetti collaterali”?
Ci colpisce molto leggere che anche l’Ordinario militare si allinea a questa retorica della guerra dichiarando, per esempio che fare il militare è “una professione aperta al bene comune e allo sviluppo della famiglia umana” oppure sostenendo che “i cappellani militari sono parroci senza frontiere, impegnati in una pastorale specifica sul fronte della pace”. Ce ne vuole davvero a descrivere “l’aeroporto di Ciampino dove arrivano le salme dei nostri soldati uccisi” come “una scuola di fede”. E ancora “Essere cristiani ed essere militari non sono dimensioni divergenti”. Come cristiani e come sacerdoti restiamo stupiti per questo assai strano insegnamento magisteriale e, alla luce del Vangelo, siamo sconcertati.
Siamo certi che anche il Direttore di Avvenire, oltre che ovviamente il Vescovo Pelvi, ben conosca la sapienza ecclesiale, supportata dal Magistero della Santa Sede, che ci ha insegnato a discernere i diversi modi di affrontare i conflitti internazionali, a partire dalle testimonianze dei primi martiri cristiani, che rifiutavano il servizio militare e non bruciavano il grano d’incenso all’Imperatore considerato una divinità. Come non ricordare il martirio di S. Massimiliano (295 d.C.) condannato a morte “poiché, con animo irrispettoso, hai rifiutato il servizio militare” “quia in devoto animo militia recusasti”) E quante testimonianze di martiri dei nostri giorni abbiamo ancora da raccontare.
Proprio oggi, 9 agosto la Chiesa ricorda il Beato Franz Jagerstatter, obiettore di coscienza contro il servizio militare nel III Reich di Hitler (mentre la maggior parte dei cattolici combattevano) e per questo ghigliottinato il 9 agosto 1943. E’ stato Papa Benedetto XVI, nel 2007, a proclamarlo beato e martire nel suo opporsi al servizio militare e alla guerra!
Chiediamo di aprire un confronto serio e schietto sul tema della guerra, del servizio militare, oggi non più legato all’obbligo della leva, e della presenza dei Cappellani tra i militari, magari proprio con il Direttore di Avvenire e l’Ordinario militare. L’unica occasione di confronto risale al lontano 1997, in un convegno a Firenze promosso da Pax Christi, con un rappresentante dell’Ordinario Militare. Come era stato detto allora ribadiamo l’esigenza che “ si ritorni a discutere sul ruolo dei Cappellani Militari, non per togliere valore alla presenza e all’annuncio cristiano tra quanti, soprattutto giovani, stanno vivendo la vita militare, ma per essere più liberi, senza privilegi e senza stellette”.
A 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II crediamo doveroso riaprire un riflessione seria sulla condanna della guerra e sulle strade che sono chiamati a percorrere gli operatori di pace.
Seguono firme.
PER ADERIRE : inviare una MAIL con il proprio Nome, Cognome e Città a drenato@tin.it   oppure a nandyno@libero.it
PER CONTATTI:
Don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale Pax Christi Italia   nandyno@libero.it      3473176588
Don Renato Sacco, Cesara – Vb      drenato@tin.it    348- 3035658