mercoledì 30 maggio 2012

in capite et in membris

Arduo riaversi dalla sconcerto provocato dalla vicenda dei “corvi”. Ancora più arduo trovare la voglia di dire ancora qualcosa, quando  (pare) sia già stato detto tutto e il suo contrario. Si rimane comunque in attesa di ulteriori sviluppi. Non so se auspicarlo o temerlo. 
Ma e se si cominciasse a rimarcare una oggettiva e incontrovertibile realta? quale? bè tanto per cominciare che il Vaticano non è la chiesa; è uno stato, punto. Con tanto di funzionari, dignitari, corrotti, corruttori e corvi, cornacchie e quant'altro. (bisogna sempre distinguere e a livelli via via superiori, unire se del caso).
Poi che la chiesa non è Gesù Cristo. Punto.
Inoltre che la chiesa non coincide con la fede. Ancora punto.
E poi che la chiesa è sempre da riformare.
Occorre coraggio, un pò di fiducia (fede) in quello che è l'oggetto (il senso, la direzione, l'anima, il motivo  del suo stesso esistere e permanere: la fede nel Signore) e osare a prendere di nuovo il largo.
Senza protezioni; senza banche, poteri, maggiordomi, lecchini e baciapile d'ogni risma.
 La fotografia di una chiesa (di una gerarchia abbarbicata ai poteri e tutta presa da intrighi di palazzo, che si crogiola tra la finanza e le botteghe di partito) che si specchia in un'epoca, in un contesto sociale smarrito e perso, sempre più lontana, persino anacronistica e incapace di esprimere parole coniugate ad un agire coerentemente pregnante, non può che offendere e scandalizzare. Certo ciò può sollecitare a riscoprire la nostalgia della purezza, della bellezza; può riaccendere in semplicità il desiderio di Dio. Ma a quale prezzo? 
Fino al punto di non sentire la mancanza di una tale Chiesa? Fino ad auspicare e pregare incessantemente perchè si ritorni ad una riforma "in capite et in membris"? Fino a pensare di poter vivere una vita di fede a prescindere dalla chiesa? Come se essa non ci fosse? (lo ammetto e senza compiacimento, è questo da qualche tempo un pensiero insistente in me condiviso da molti altri cristiani).
 


giovedì 24 maggio 2012

Elargire al mondo un sorriso

Intercetto gli umori delle persone che entrano nei miei uffici. Sono umori contrassegnati da preoccupazioni di salute, economiche. Di solito colgo profondi disagi umani, familiari.Sento paura, a volte disperazione. Sfiducia, impotenza, rabbia. E poi ancora barlumi di fioca speranza per l'arrivo di un figlio, un nuovo nipotino...
Stamane è arrivato da me un prete, un sacerdote diocesano. Mi espone il perchè ha voluto incontrarmi. Poi irrimediabilmente il discorso è caduto sulla fede, la chiesa e il tempo presente. Una lagnanza e una rassegnazione totale.  Lui, uomo di fede, inaridito e reso quasi chiuso e cieco. Mi ha fatto pena; umanamente pena. Mentre parlava mi chiedevo che cosa mai quest'uomo potesse annunciare, quale gioia, quale speranza, quale Dio testimoniare. Poi subito ho corretto il pensiero mettendomi nei suoi panni (e anch'io mi sono visto passibile di un giudizio altrettanto impietoso!).
Eppure...Nulla di nuovo sotto il sole; ogni epoca ha le sue ricchezze e le sue pene, i suoi segni di speranza e i suoi abissi. Tutti i tempi sono tempi di crisi,  di passaggio, di cambiamento; nessuna età della storia umana è stata un’età di progresso inarrestabile, stabilità,  saggezza, benessere. Non credo ad una mitica età dell'oro, al tempo cristiano perfetto dove il modello celeste si incarnava sic et simpliciter tra le cattedrali e i monasteri a disegnare città di dio e città dell'uomo.
Dunque il tempo che ci è dato da vivere non è migliore o peggiore di altri tempi. Anzi: per quante involuzioni, per quanti fallimenti e sconfitte dell’umanità, e in particolare della Chiesa, possiamo registrare, ci sono state certamente età peggiori. Penso addirittura che il tempo presente sia migliore di quei tempi conosciuti dai nostri padri e dai loro padri.   Erano forse migliori i tempi in cui l'impero si definiva "sacro" e la società era ufficialmente, cristiana?   Ritengo che il tempo presente, pur opaco e bolso, sia un tempo di purificazione, di decantazione certo difficile da vivere nel quotidiano degli individui, delle famiglie.  Difficile perchè gli scenari cambiano repentinamente, perchè la crisi economica, etica, politica ci inquieta attanagliandoci e adombrando sicurezze acquisite, riferimenti che sembravano inossidabili. Ancor più difficile perchè il nostro presente ha creato vuoto e solitudine, riducendo gli uomini a monadi, esseri isolati e impauriti.  Un tempo difficile perché la morale comune non coincide più con la morale cristiana, e la sapienza e le virtù sembrano ormai anticaglie. E' dunque un tempo di purificazione e sicuramente sarà lungo, persino opprimente. Violento, si persino violento. Ed è per questo indispensabile addestrarci alla pazienza, allenarci alla lentezza, vivere maggiormente la dimensione dell'attesa, trovare ristoro e sostegno nell'abbraccio di una comunità, della famiglia. Ristabilire rapporti umani, caldi e autentici.  Ed elargire al mondo un sorriso, forse un piccolo efficace segno distintivo che contraddistinguerà il credente nel Padre della vita, nel Signore della storia, nel Dio della Gioia.

domenica 20 maggio 2012

cercatori di senso


Mentre vivo, giorno dopo giorno, ricerco il senso delle cose come della mia esistenza. Non è un dato "per sempre", non è una lezione imparata a memoria come molti, forse da sempre, ci hanno fatto credere. E' più una scommessa, un baluginare davanti agli occhi e nel cuore di un qualcosa che ti sembra possa calmare la tua fame e sete d'assoluto.  E' una ricerca che dura quanto la nostra vita.

Cinque anni fa moriva l'abbè Pierre, cercatore d'infinito.

"Non sono guarito e non guarirò mai da tutto il bagaglio di sofferenze che opprimono l'umanità dalla sua origine.
Di recente ho appreso che sulla terra sarebbero vissuti circa 80 miliardi di esseri umani.

Hanno avuto un'esistenza dolorosa, hanno penato, sofferto.... e per cosa?

Mio Dio perchè?

Nei catechismi di tutte le religioni si dice che la vita ha un significato.  Ma quanti uomini e donne, su decine di miliardi, hanno potuto scoprire tale significato? Quanti hanno potuto prendere coscienza di una vita spirituale e di una speranza? Quanti altri al contrario hanno vissuto come animali, nella paura, schiacciati dagli imperativi della sopravvivenza, nella precarietà, nel dolore della malattia?

E allora mio Dio perchè? Qual è lo scopo della vita?

Tremando, con grande scandalo della mia intelligenza ma con la convinzione del cuore e della fede, io rispondo: lo scopo della vita è di imparare ad amare.

Amare è quando tu, l'altro, sei felice, e allora sono felice anche io.

E quando tu, l'altro, sei infelice e sofferente, allora sono in pena anche io.

E' tutto molto semplice: la vita è un pò di tempo concesso ad alcune libertà, per imparare ad amare."
Abbé Pierre