Poche righe
nell’ultima domenica d’Avvento, la prossima domenica festeggeremo il Natale.
Alcuni supermercati,
ormai da tempo, son già aperti 24 ore su 24, i carrelli della spesa traboccano mercanzie.
Vogliamo certezze, accumuliamo ogni cosa sotto il segno della previdenza, dell’assicurazione,
del risparmio e dell’accumulo per un oggi e per un domani. In fondo “non si sa mai”.
Avvento indica sia che qualcosa sta avvenendo,
sia che qualcuno sta venendo.
Eppure siamo
così allevati alla continua reiterazione del procedere dell’esistenza, che non
riusciamo a scorgere ciò che sta accadendo o chi sta arrivando.
Addestrati alla ripetitività percorriamo il
presente sulle tracce del passato, ingessando nel qui e ora qualunque
situazione nota e vissuta da riprodurre/vivere per sempre. D’altra parte ciò è
rassicurante.
Si è
tranquillizzati nel vivere ripetutamente un’esistenza che ha allontanato la
novità, che ha estromesso possibilità di originalità/imprevisto/cambiamento,…
Non crea
allarmismi/preoccupazioni, non agita il tranquillo tran tran quotidiano, né più di tanto quella quotidianità ripetuta a
memoria, vissuta in automatico.
Le luci e
gli addobbi ovunque, pacchetti colorati tra le mani, personaggi del presepe e
alberi agghindati e luccicanti. Auguri e regali coi sorrisi delle grandi
occasioni stampati sulle labbra…
Avvento,
tempo di attesa… ci sentiamo ripetere. Aspettiamo cosa, aspettiamo chi? Ma
siamo sicuri di aspettare qualcosa o qualcuno? In realtà forse non attendiamo
nulla e nessuno. Abbiamo spento i nostri desideri per paura di essere delusi.
Fintamente trascorriamo questo tempo in attesa d’un Godot che mai arriva…
Chi si
contenta gode: ci facciamo bastare, per paura di perderlo, quel poco che
abbiamo o siamo. E’ spento il desiderio, perché è morta la speranza o ridotta
al lumicino. Ciò che manca di più oggi, in questo nostro tempo di incertezze e
di crisi di ogni tipo, è il coraggio di attendere una risposta, l’audacia e la
temerarietà di ricercare quel riscontro che appaga il cuore insoddisfatto.
Valgono le parole, lapidarie quanto profonde e attuali
di Thomas Merton: “Vi sono tanti uomini, anche grandi uomini, i quali
pensano che l’unico atteggiamento autentico è quello della franca accettazione
della disperazione nei confronti della vita”.
Una banale
quanto annoiata vita vissuta. Un mediocre ed insensato quanto inutile trascinarsi tra la disperazione, il disincanto
e il triste atteggiamento scettico ci accompagna nella fatica del nostro vivere, chiuso in un
orizzonte definito e presuntuosamente conosciuto e noto.
Non c’è
nulla che immediatamente scaldi il cuore, che faccia appassionare il nostro
giorno. Si riduce ogni cosa a istanti consumati velocemente: un innamoramento
fugace, una storia effimera, il pullover nuovo o le scarpe all’ultima moda,…
E allora il nostro Natale si riduce ad uno sguardo
fuggevole di tenerezza al bambino che sorride sulla paglia, s’attiva il profumo
e la nostalgia della nostra infanzia e s’accende la commozione della memoria
sopita all’apprestare della tavola imbandita.
Il Natale
cristiano non è una fuga dal mondo, è l’arrivo, improvviso e inaspettato,
gratuito del Figlio nel mondo. E’ cuore lacerato dalla troppa attesa, pulsante
di desiderio intenso di una vita autentica.
La fede che
grida al cuore NON C’E’ NULLA CHE BASTI, NON C’E’ NULLA D’APPAGANTE
QUANTO LA
PROMESSA SOPRAGGIUNTA GRATUITA E FATTA CARNE DI PIENEZZA.
La questione
è in questi termini: non se Dio viene,
ma se io lo riconosco. Non se esiste un dio ma, posto che ci sia, se c’entra
con la mia vita o no.
Tutto parte
da un interrogativo che di tanto in tanto, in stagioni propizie, s’attizza in
fondo al cuore: “cos’è quest’insoddisfazione che sento, cos’è questo desiderio
di pienezza a cui non so dare nome, chi è questo qualcuno che mi cerca a cui
sfuggo perché mi sento cercato… Sei Tu
Colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”
Indecente e
persino sprezzante la domanda in bocca a Giovanni Battista, il precursore
dell’Atteso che in prigione davanti alla morte è assalito dal dubbio.
Si sta
giocando tutto: la verità della sua vita di profeta, ma ancor più la verità
delle promesse di Dio. La speranza di Giovanni è traballante e incrinata … “Tutto
qui? Aspettavamo un Messia che cambiasse la faccia della terra o per lo meno la
nostra tribolazione in gioia… E Dio ci manda un Bambino… in una stalla... A che
serve un bambino che ha bisogno di tutto?”
Natale non è
una festa facile: nella sua luce tremolante oscilla la nostra fede e la nostra
speranza.
Corre sul
filo rischioso della delusione, perché tentiamo di ridurre Dio alle nostre
attese, ai nostri bisogni riducendolo a
risposta scontata e per questo ormai inascoltata e, tra le tante, inutili.
Così ci
perdiamo il dono che Lui ci fa. E’ vero: è solo un piccolo Bambino che ci viene
dato, un Figlio di donna. Una piccola creatura da contemplare senza essere accecati dalla sua
luce.
Una sorpresa
per la nostra vita, dono sorprendente ed unico. Dono che sa rinnovare l’esistenza
e riempire il cuore dell’uomo. Basta ascoltare e accogliere il dono,
lasciarsi abitare.