“Il passo
si fa grave, la schiena, da dritta che era, s’incurva lungo il cammino. Il
fiato s’appesantisce e rallenta, le gambe non corrono più come una volta. A
inerpicarsi sui monti sembrava un cervo, sicuro e veloce. Ora le sue montagne,
quelle da sempre amate e conosciute sin da quando era nato, quasi gli
sembravano inaccessibili e a tratti sconosciute”.
Il
confronto con il passato a volte diventa schiacciante, opprimente.
L’accostamento a ciò che si riusciva a fare/essere negli anni addietro con quello
che si può fare/essere nel tempo presente è come un macigno che impedisce il
cammino. Rallenta e sfianca il
procedere, impedisce lo sguardo sul domani.
Il passato
appesantisce. Possiamo farlo ( l’abbiamo reso) così paradigmatico, così
esemplare da averlo fatto (farlo) diventare così irrepetibilmente unico e
assoluto da renderci l’esistenza ormai deprivata di forza, sfiancata di
speranza, di attesa, di fiducia, di capacità di rimetterci nel corso della
vita.
Il passato può così determinare il presente sino a condizionare il
futuro.
“Le ali
sono tarpate, quasi atrofizzate dal peso del mio passato. Sono voli di tacchino
i miei sogni di viaggio, sterili e inconcludenti balzelli i miei pur mutilati
desideri di esplorazioni”.
Eppure c’è
qualcosa con cui dobbiamo fare i conti. La nostra paura. La paura a lasciarci
andare, la paura a rinnovarci, la paura a perderci (meglio: a perdere ciò che
già abbiamo sperimentato di noi e fuori di noi). La paura ad affidarci ad una
speranza primigenia, originaria e innata in noi sola che ci traghetta al
futuro. Per noi cristiani la speranza ha un nome, un volto, un destino, le possibilità di un incontro fino a cambiarci (sconvolgerci) la vita.
Anche
razionalmente sappiamo che siamo proiettati, orientati nel futuro. Quell’”è stato detto, ma io vi dico…” o quel
“lasciate che i morti seppelliscano i loro morti…” non è da intendersi proprio
nel senso del peso opprimente del passato? Non può intendersi nell’invito a
camminare liberi e leggeri senza aggravamenti del passato?
Perché non
affermare che il riscatto della nostra vita si trova sempre nel futuro? Nella
decisione del qui ed ora che apre, spalanca al futuro? Ancora qui irrompe la paura che ci blocca, che
ci fa baluginare davanti agli occhi la sicurezza del passato, il bel tempo
andato, il mito dell’evo dorato.
"Quello che
sarà il futuro è la possibilità e dipende da me. Perché continuare ad insistere
nel voler trattenere il passato e contemporaneamente esserne schiacciati? Non è forse questa una bestemmia? Non è forse
un’idolatria?"
Non abbiamo già forse le risposte pronte? Le ricette per ogni occasione? La vita di fede assicurata, già nota e certa (quasi un minimo garantito di spiritualità)? Non sappiamo già tutto e in anticipo? Non viviamo forse garantiti dal tempo passato che ci tramanda già ogni istante di vita e che ci fa dire sappiamo già tutto?
Perché non
ammettere che di nuovo il rischio, di nuovo l’incertezza, di nuovo l’osare, di
nuovo il lasciare andare la paura, di nuovo l’appassionarsi, di nuovo il
camminare fino a perdersi e trovare ancora parole nuove, possa gettare semi di
speranza e di futuro?
Neppure immaginiamo
dove ci può portare quel mollare l’ancora della paura.
C'è un cristianesimo del passato e un
cristianesimo del futuro.
Il primo è quello dei punti fermi, delle
certezze, della tradizione fatta anche di incrostazioni temporali tramandate
come verità di fede incancellabili e immodificabili.
Ciò rischia
di schiacciare, fino a mortificare ed opprimere chi tenta un’avventura dello
spirito, le innumerevoli possibilità di incontri con l’Assoluto.
Il secondo
è quello che si vive nell’aver cura di coltivare l’entusiasmo, la fantasia,
nel favorire la tessitura di incontri umani seminando amicizia e speranza,
generare solidarietà, costruire percorsi di vita semplice e autentica
allontanando la paura.. Fino a rendere sorprendente ogni attimo di vita.
Mi auguro di sorprendermi ancora. Buon anno nuovo.
Mi auguro di sorprendermi ancora. Buon anno nuovo.