venerdì 19 settembre 2014

Peter Pan




C’era una volta, tanto tempo fa, un bambino che era nato e cresciuto in un piccolo paesino dal nome impronunciabile che sembra quello di una formula magica Ruszkabanya-Krassòszoreny. Un piccolo borgo circondato da boschi e dolci montagne dove il piccolo Peter viveva con la sua mamma.  

Il villaggio a quel tempo era nell’impero austro-ungarico oggi ha un altro nome, Rusca Montana, e si trova in Romania.  

Peter, nato il 21 agosto 1897, diventa un giovanotto e viene arruolato al 30° Reggimento fanteria Honved, 7° compagnia, spedito al fronte. 

C’era la guerra, quella Grande Guerra, quella grande inutile strage che ha irrorato di sangue l’Europa sui monti e nelle trincee.
Ho girato per i monti della memoria finendo sul Monte Grappa, nell’Ossario di Guerra dove vi sono i resti di dodicimilaseicentoquindici soldati.

Nella parte esposta a nord, c’è il cimitero Austro-Ungarico ed è qui che ora si trovano i resti del soldato Peter, Peter Pan.  La sua casa è una lapide, la numero 107.  

Qui, nella casa del soldato Peter Pan, da quasi ottant’anni mani ignote posano ogni giorno fiorellini di campo, piccoli sassi e conchiglie. E ancora questa magia continua; non si sa chi sia a portare quei piccoli doni che ogni mattina zelanti custodi dell'ossario portano via: infatti, non vi sono fiori per rispettare l'eguaglianza di tutti i caduti.

Non c’era Trilly a salvare Peter Pan che muore a ventun anni straziato da una granata  il 19 settembre 1918 a Col Caprile. Carne da macello. Morto senza eroismo. Quel tardo pomeriggio, quando il silenzio della morte sovrasta tra i monti, i barellieri della Croce rossa raccolsero il suo corpo e quello di cinque commilitoni.

Pare che nelle sue tasche abbiano trovato una conchiglia, un pezzetto di marmo bianco e un fiore seccato.

Mi sono commosso e dalle mani ho fatto scivolare alcuni fiorellini sulla lapide 107.
                                                                                                             

“Le stelle, per quanto meravigliose, non possono in alcun modo immischiarsi nelle faccende umane, ma devono limitarsi a guardare in eterno. È una punizione che si è abbattuta su di loro così tanto tempo fa che nessuna stella ne ricorda il motivo. E così quelle più anziane sono diventate cieche e taciturne (le stelle comunicano tra loro ammiccando con gli occhi), ma quelle più giovani si meravigliano ancora di tutto” (Le avventure di Peter Pan, James Matthew Barrie).

                     


lunedì 15 settembre 2014

Capaci d’abbracciare l’intero universo



Il vento oggi scuote gli alberi, assomiglia alla voce dell’oceano conosciuto a  Cabo da Roca, così selvaggio e passionale.
Amoreggia coi rami e piega loro le chiome come fragore d’onde. Svolazzano foglie staccate e alcuni frutti e rami secchi cadono ovunque tra l’erba arruffata. Un temporale copre ogni altro rumore coi tuoni e violenti scrosci di pioggia.  Ogni cespuglio e albero, ogni spiga di riso s’inchina all’impetuosità delle raffiche d’acqua e d’aria mentre nel cielo nere nuvole corrono nervose ad invadere ogni spazio.

Eppure noto una strenua resistenza ovunque. Radici salde affondano nel terreno ad attingere a memorie d’altri attacchi, battaglie violente d’altre tempeste rievocando sentimenti di speranza, audacia, fiducia.
E così sembran dare accoglienza, quasi ospitando con semplicità senza difesa, senza minaccia.
Con abbandono si lasciano avvinghiare sino a diventare un tuttuno.

Un pensiero si fa spazio. So di non essere forte, potente, vigoroso  e possente. Spesso non riesco a trattenere le lacrime davanti ad uno spettacolo della natura, leggendo le pagine di un libro coinvolgente, gustando un film che narra prodigi d’amore ed eroismo di vita, lasciandomi prendere da una musica compagna di strada del mio vivere. E allora il mio cuore si gonfia e il nodo alla gola avanza.
Mi commuovono le persone, le loro storie.

A volte mi difendo ed è anche questa difesa a dirmi che non sono forte, né potente, né vigoroso e possente. Difendere è chiudere, custodire e proteggere; difendersi è come corazzarsi contro ciò che non si conosce, di cui si ha paura, forse anche un male. 

Si chiudono le persiane e si sbarrano le finestre, impedendo al vento d’entrare.  Attendere che l’acquazzone passi, che l’aria minacciosa si sperda e ritorni da dov’è venuta. 

La difesa è un arretramento, un accovacciarsi per paura. Certo so bene che a volte non s’hanno altre forze se non quella di sottrarsi e quasi scomparire. Ho conosciuto la sconfitta, l’arretramento.
Si vorrebbe rimpicciolirsi rendendosi quasi invisibili agli occhi del mondo. Scomparire e uscire di scena: ammettere la paura e l’incapacità di vivere come Roberto, come Silvia, Federica,...

La resistenza è altra cosa, un’uscita, un’attesa sull’uscio di casa, uno scrutare alla finestra. Un osservare attento e curioso, un esplorare per pianificare e attrezzarsi.
E poi via ad attendere ed incontrare l’incognita, ad affrontare il rischio, quel nemico percepito come tale, forse anche un male. Essere presenti e vigili

Non è il resistere impresa da pavidi; non è sottrazione ma quasi sfida al destino avverso.
Non quella competizione che mostra bicipiti e boriosa sicurezza ostentata per mascherare fragilità e debolezze.
No, è quella capacità d’accoglienza anche del male, del dolore, della sofferenza; piegati, sanguinanti ma caparbi per quel seme di memoria che frutta speranza, genera audacia.

Sono arrivato a ritenere che la vita non sia una lotta, non sia un perenne conflitto; credo che la vita ci chieda di vivere e di amare, d'esser pronto all' accoglienza.  Sapremo così accettare le intemperie, il vento impetuoso come la pioggia scrosciante, l’arsura come il gelo. E forti e potenti e vigorosi e possenti potremo dire di esserlo quando saremo consapevoli che ogni cosa accade non per una minaccia alla nostra felicità, ma per donarci una contentezza maggiore, con una gioia e una serenità per essere capaci d’abbracciare l’intero universo.