Sembrano
secoli
ma ricordo ancora che il famoso, ormai ex, Cavaliere per anni ha rifiutato di
prender parte alle iniziative promosse per il 25 Aprile; non solo da capo di un
partito (o di una coalizione) dell’opposizione o di maggioranza (quindi come rappresentante
di una sola parte di italiani), ma anche da Presidente del Consiglio e quindi,
come capo del governo, rappresentante di tutti gli italiani.
Ha
in questo modo sdoganato la negazione dell’importanza della ricorrenza; ne ha
sanzionato la eliminazione simbolica dal calendario della coscienza di un
popolo.
Solo
qualche giornale e circoli e intellettuali di sinistra, o così catalogati frettolosamente, hanno gridato allo
scandalo. Per il resto il silenzio è calato. Sembra che in italia ogni cosa
scivoli presto nel dimenticatoio. In fondo Berlusconi ha avuto buon gioco poiché è
come se avesse affermato: posso farlo perché è giusto e poi tanti italiani
approvano e condividono quel che faccio.
Inutile
negare che il 25 aprile non sia più tanto “sentita” come festa, sia lentamente
scomparsa dalle nostre coscienze.
Eppure
il 25 aprile è festa nazionale, ossia festa della nazione, cioè d’una comunità
di donne e uomini legati da un insieme di fattori quali la lingua, la cultura,le
tradizioni, avvenimenti storici. Ci
saranno, uno o più, motivi per cui il 25 Aprile non scaldi il cuore e accenda
di passione il popolo italiano come ad esempio il 14 luglio per i francesi!
La
memoria ci aiuta anche se spesso viene mistificata o nascosta .
Cerco di
recuperarla e ripercorrere alcuni di questi motivi che insidiano e sterilizzano
la bellezza e la novità perenne della festa del 25 Aprile.
Nella
primavera del 1945 su gran parte dell’Italia aleggiava un clima nuovo e rimase
estranea alle vicende che invece infiammavano la Pianura padana.
Il
25 aprile è la festa che celebra la liberazione dall’occupazione nazifascista:
un dato che non deve essere sottaciuto è che quella liberazione coincise con la peggior
sconfitta militare e con le più grandi devastazioni che il nostro Paese avesse
mai subito.
La
Resistenza affiancò con il suo sacrificio le truppe anglo americane senza le
quali i nazifascisti non sarebbero mai stati cacciati.
Occorre
ricordare che nella Resistenza italiana erano rappresentate, certo in misura
diverse, tutte le tendenze politiche allora presenti. Cattolici, comunisti,
anarchici, socialisti, monarchici, liberali: ciascuno contribuì mettendoci
tutto ciò che aveva, anche la vita.
Nei
decenni successivi questa realtà, ossia la pluralità delle posizioni politiche
che parteciparono alla Resistenza, faticò ad emergere. Furono i comunisti,
culturalmente egemoni, a fare della Resistenza uno dei propri punti forti.
L’effetto fu che la Resistenza diventò indigesta a molti (anche tra coloro che
ne furono i diretti artefici e promotori).
Ancora due considerazioni, due doverosi
atti di memoria: fu anche una guerra civile e chi combatteva dall’altra parte
non poteva riconoscersi nella vittoria degli avversari. Infine forse, a mio
parere, la più importante considerazione: il peso avuto della cosiddetta “zona
grigia” ossia la gran parte di italiani che non combatterono in nessuna parte;
superficiale l’adesione al fascismo superficiale l’adesione ai miti della
Repubblica, superficiale oggi.
Ma
tutto ciò apre e porta ad ulteriori considerazioni sino ai giorni nostri dove
la “disgregazione” di popolo porta al moltiplicarsi di capipopolo vocianti e ringhiosi. C’è chi nega che gli italiani formino una
nazione: le differenze di cultura tra le varie popolazioni d’Italia sono
profondamente radicate nella storia al punto che ancora oggi sono del tutto
evidenti le differenze tra regioni, tra un nord e un sud.
Piero
Calamandrei scrisse poco dopo la fine della guerra, a proposito della
Resistenza: «Era giunta l’ora di
resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da
uomini». Questo solo conta e questo solo abbiamo il dovere di tramandare,
affinché il significato del 25 aprile sopravviva alla morte dell’ultimo
partigiano e al fluire del tempo che sbiadisce e divora ogni cosa. Per vivere da uomini
bisogna essere liberi. Per conquistare la libertà e donarla a chi non l’ha
bisogna combattere e sacrificarsi. Sino a perdere la vita. In tempo di pace non meno che in tempo di
guerra, quando anche la minaccia alla democrazia è così subdola da assumere forme attraenti e pericolose. E resistendo all’omologazione sociale e del pensiero unico che non arriva a privarci della libertà fisica ma sempre di più
ingabbia e anestetizza la nostra coscienza.
P.S. l’ultimo atto della giunta del paese dove abito è stato quello di proporre l’ inaugurazione e intitolare il monumento e il bosco delle foibe
nella giornata del 25 aprile.
La
mancanza di intelligenza storica, di onestà intellettuale,di sensibilità e di
correttezza è del tutto evidente. La fame di consenso porta anche allo
scadimento.
Uno
dei luminari di questa giunta ( si presume espressione sua ciò che è riportato
sulla stampa locale) afferma: “ …il monumento non era ancora pronto e quindi
abbiamo deciso d’inaugurarlo il 25 aprile, partendo dal presupposto che i morti
sono tutti uguali”.
Non
è vero che i morti sono tutti uguali, così come non sono uguali i valori che
essi hanno incarnato. Ai giovani che incontro, a mio figlio, passo ciò che
ritengo fondamentale in una civiltà ossia il significato per i vivi
dell’esempio dei morti. I vivi devono distinguere i morti in nome dei valori
rappresentati da essi e scegliere quelli su cui fondare la propria vita, una
civiltà, uno Stato. Confondere vuol dire essere in mala fede oppure è ignoranza
e allora conviene tacere. Ma se è mala fede perchè mira a disorientare,
ingarbugliare, intorbidire allora occorre ancora ribadire che la Resistenza
deve diventare un atto quotidiano dell’affermazione della verità, della
giustizia e della continua tensione a non perdere la memoria.