giovedì 24 aprile 2014

«Era giunta l’ora di resistere..." il mio 25 Aprile




Sembrano  secoli  ma ricordo ancora che il famoso, ormai ex, Cavaliere per anni ha rifiutato di prender parte alle iniziative promosse per il 25 Aprile; non solo da capo di un partito (o di una coalizione) dell’opposizione o di maggioranza (quindi come rappresentante di una sola parte di italiani), ma anche da Presidente del Consiglio e quindi, come capo del governo, rappresentante di tutti gli italiani.
Ha in questo modo sdoganato la negazione dell’importanza della ricorrenza; ne ha sanzionato la eliminazione simbolica dal calendario della coscienza di un popolo.
Solo qualche giornale e circoli e intellettuali di sinistra, o così catalogati frettolosamente, hanno gridato allo scandalo. Per il resto il silenzio è calato. Sembra che in italia ogni cosa scivoli presto nel dimenticatoio.  In fondo Berlusconi ha avuto buon gioco poiché è come se avesse affermato: posso farlo perché è giusto e poi tanti italiani approvano e condividono quel che faccio.

Inutile negare che il 25 aprile non sia più tanto “sentita” come festa, sia lentamente scomparsa dalle nostre coscienze.

Eppure il 25 aprile è festa nazionale, ossia festa della nazione, cioè d’una comunità di donne e uomini legati da un insieme di fattori quali la lingua, la cultura,le tradizioni, avvenimenti storici.   Ci saranno, uno o più, motivi per cui il 25 Aprile non scaldi il cuore e accenda di passione il popolo italiano come ad esempio il 14 luglio per i francesi!

La memoria ci aiuta anche se spesso viene mistificata o nascosta .
Cerco di recuperarla e ripercorrere alcuni di questi motivi che insidiano e sterilizzano la bellezza e la novità perenne della festa del 25 Aprile.

Nella primavera del 1945 su gran parte dell’Italia aleggiava un clima nuovo e rimase estranea alle vicende che invece infiammavano la Pianura padana.
Il 25 aprile è la festa che celebra la liberazione dall’occupazione nazifascista: un dato che non deve essere sottaciuto è  che quella liberazione coincise con la peggior sconfitta militare e con le più grandi devastazioni che il nostro Paese avesse mai subito.
La Resistenza affiancò con il suo sacrificio le truppe anglo americane senza le quali i nazifascisti non sarebbero mai stati cacciati.
Occorre ricordare che nella Resistenza italiana erano rappresentate, certo in misura diverse, tutte le tendenze politiche allora presenti. Cattolici, comunisti, anarchici, socialisti, monarchici, liberali: ciascuno contribuì mettendoci tutto ciò che aveva, anche la vita.
Nei decenni successivi questa realtà, ossia la pluralità delle posizioni politiche che parteciparono alla Resistenza, faticò ad emergere. Furono i comunisti, culturalmente egemoni, a fare della Resistenza uno dei propri punti forti. L’effetto fu che la Resistenza diventò indigesta a molti (anche tra coloro che ne furono i diretti artefici e promotori). 
Ancora due considerazioni, due doverosi atti di memoria: fu anche una guerra civile e chi combatteva dall’altra parte non poteva riconoscersi nella vittoria degli avversari. Infine forse, a mio parere, la più importante considerazione: il peso avuto della cosiddetta “zona grigia” ossia la gran parte di italiani che non combatterono in nessuna parte; superficiale l’adesione al fascismo superficiale l’adesione ai miti della Repubblica, superficiale oggi.

Ma tutto ciò apre e porta ad ulteriori considerazioni sino ai giorni nostri dove la “disgregazione” di popolo porta al moltiplicarsi di capipopolo vocianti e ringhiosi.  C’è chi nega che gli italiani formino una nazione: le differenze di cultura tra le varie popolazioni d’Italia sono profondamente radicate nella storia al punto che ancora oggi sono del tutto evidenti le differenze tra regioni, tra un nord e un sud.

Piero Calamandrei scrisse poco dopo la fine della guerra, a proposito della Resistenza: «Era giunta l’ora di resistere; era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini». Questo solo conta e questo solo abbiamo il dovere di tramandare, affinché il significato del 25 aprile sopravviva alla morte dell’ultimo partigiano e al fluire del tempo che sbiadisce e divora ogni cosa. Per vivere da uomini bisogna essere liberi. Per conquistare la libertà e donarla a chi non l’ha bisogna combattere e sacrificarsi. Sino a perdere la vita. In tempo di pace non meno che in tempo di guerra, quando anche la minaccia alla democrazia è così subdola da assumere forme attraenti e pericolose. E resistendo all’omologazione sociale e del pensiero unico che non arriva a privarci della libertà fisica ma sempre di più ingabbia e anestetizza la nostra coscienza.


P.S. l’ultimo atto della giunta del paese dove abito è stato quello di proporre l’ inaugurazione e  intitolare il monumento e il bosco delle foibe nella giornata del 25 aprile.
La mancanza di intelligenza storica, di onestà intellettuale,di sensibilità e di correttezza è del tutto evidente. La fame di consenso porta anche allo scadimento.
Uno dei luminari di questa giunta ( si presume espressione sua ciò che è riportato sulla stampa locale) afferma: “ …il monumento non era ancora pronto e quindi abbiamo deciso d’inaugurarlo il 25 aprile, partendo dal presupposto che i morti sono tutti uguali”.
Non è vero che i morti sono tutti uguali, così come non sono uguali i valori che essi hanno incarnato. Ai giovani che incontro, a mio figlio, passo ciò che ritengo fondamentale in una civiltà ossia il significato per i vivi dell’esempio dei morti. I vivi devono distinguere i morti in nome dei valori rappresentati da essi e scegliere quelli su cui fondare la propria vita, una civiltà, uno Stato. Confondere vuol dire essere in mala fede oppure è ignoranza e allora conviene tacere. Ma se è mala fede perchè mira a disorientare, ingarbugliare, intorbidire allora occorre ancora ribadire che la Resistenza deve diventare un atto quotidiano dell’affermazione della verità, della giustizia e della continua tensione a non perdere la memoria.




mercoledì 9 aprile 2014

Dove abita Dio?





 Il più delle volte la mia realtà, l’esistenza quotidiana, mi sembra banale, quasi insignificante nella vita di tutti i giorni, pur pieni di impegni e d’incontri. 

Eppure è questo il mondo dentro il quale vivo, che mi è affidato. 
Del quale devo averne cura e custodirlo. 

E’ questo il mio piccolo mondo, rappresentato da ciò che vivo, mio figlio, mia moglie, gli amici, il lavoro, la politica, le mie passioni, la fede,…

Il mondo in cui cerco di accendere scintille d’amore, in cui cerco bagliori di vita autentica. 

E’ inutile e fuorviante cercare altrove, costruirsi alibi,…

Questa, la nostra esistenza, ovunque noi siamo e comunque viviamo, è la porta attraverso la quale dobbiamo far passare riflessi d’infinito, riverberi d’amore. 

Anche se a volte sembra impossibile, anche se tutto sembra inutile.

Rendere sacri i piccoli luoghi che abitiamo, gli istanti di vita che attraversiamo, non vuol dire vivere in una cappella, costruire cattedrali o ripararsi in un convento. 

Con semplicità renderli sacri vuol dire scaldare la nostra vita e riuscire trasmettere calore. 
Permettere a Dio di abitarci.




“Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mandel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: “Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui. “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.  (Martin Buber, Il cammino dell’uomo)






Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano e teologo, arrestato perché prese parte ad una congiura per assassinare Hitler, venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenburg all’alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra.

 Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi entra dentro (...) Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l'insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono "perduto", lì egli dice "salvato"; dove gli uomini dicono "no", lì egli dice "sì".
Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono "spregevole", lì Dio esclama "beato".
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima.
Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.”  
(Dietrich Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita)