Non è mai lunga la strada che porta a un amico. Da tempo non ci si vedeva e così ieri siamo stati a casa di amici. Il Fabri, la Giò, la piccola Sofia. Un po' di anni da raccontarci; patemi d'animo da condividere.
Tralascio il post che avevo in mente. Amanti di don Milani anche loro, nella giornata di ieri i riferimenti a Barbiana sono stati diversi. Come l'accostare il ciò che ciascuno di noi vive, nel proprio pezzetto di chiesa, al modello "alto" preso a riferimento. Agli esempi quotidiani di un vivacchiare ecclesiale con una ridotta capacità di responsabilità condivisa; d'un fare chiesa dal volto piccolo borghese: ciascuno a casa propria, ognuno, monade tra le monadi, ad arrabattarsi coi propri problemi e difficoltà!
Avverto sempre più la necessità di far risuonare dentro di
me frasi tratte dalle letture di chi mi ha in parte indirizzato alla fede. Siamo nel dicembre
del 1954 e don Lorenzo Milani sale a Barbiana, isolata e quasi sperduta
parrocchia sul monte Giovi, nel Mugello.
In questa realtà “inessenziale”
di campagna, all'apparenza così insignificante nel piano umano (e anche nell'economia divina), il don inizia ben presto a raggruppare i figli delle famiglie contadine
disseminate sulle montagne di Barbiana.
Nel pensiero di don Lorenzo la scuola è in grado di dare ai poveri dignità e di renderli
protagonisti. Così il don invita alla responsabilità i suoi ragazzi, facendo
scrivere loro “I care” (“su una parete
della nostra scuola c’è scritto grande I CARE. E’ il motto intraducibile dei
giovani americani migliori: me ne importa, mi sta a cuore. L'esatto contrario
del motto fascista me ne frego” avrà modo poi di spiegare nella Lettera ai
giudici nell’ottobre 1965).
“Mi sta a cuore”. Li chiama ad esserci, a sentirsi responsabili delle proprie azioni, ma soprattutto a sentirsi responsabili delle persone e dei volti incontrati ogni giorno.
Quelle che seguono sono parole tratte da una lezione
registrata che don Milani fa a un gruppo di ragazzi della terza media di Borgo
San Lorenzo. A loro parla intorno ad un tavolo e cerca di scuoterli, ricordando
che possono e devono scegliere, e che ogni scelta porta responsabilità.
“Voi dite: «Si va a ballare perché Borgo non ci offre nulla
di meglio». Ma è anche viltà vostra, perché un bambino in fasce non può
lamentarsi se le sue fasce sono sporche o strette, ma alla vostra età è troppo
comodo scaraventare tutte le responsabilità sugli altri. Avete un'età che se
resistete, se cercate, se vi organizzate potete creare un'infinità di cose.
Quando avrete tentato e ritentato di avere qualcosa di meglio del ballo, potrò
dire con pietà: «Poverine! Non c'è rimedio!». Ma non siete giustificate se non
fate nemmeno il più piccolo sforzo. Oltre a tutto sarebbe quasi l'ora di
pensare anche a un'altra cosa, e cioè che siete guidate come schiave da
qualcuno che vi manda dove vuole lui. A lei Mario, negli anni della sua
esperienza di gestore di una pista, è mai successo di vedere uno, due ragazzi,
un gruppo di giovani e di ragazze, ribellarsi a un dato tipo di musica e di
ballo e pretendere che non fosse suonato e ballato perché non corrispondeva ai
loro gusti?” Mario risponde: “Io credo che molti giovani vadano dietro alla
corrente. Di solito gli piace quello che è di moda, non quello che gli
piacerebbe davvero.”
Responsabilità è dunque anche capacità di aprire gli occhi,
di leggere la realtà in cui viviamo per rispondere in maniera concreta a ciò
che ci succede intorno. Don Milani fa divenire così la scuola luogo per
imparare ad apprendere, a pensare con la propria testa.
“Senti cara, due anni fa, mi trovai a fare una leticata
(litigata) in piazza a Vicchio. C'era un imbecille di giovanotto che diceva che
lui portava la cravatta per parare il freddo. Fece fare una risata a tutti. Poi
provò a dire: «Perché mi piace». Per l'appunto vedo che a tutti intorno piace
la stessa cosa, sicché non ci credo. Difatti lui portava la cravatta non perché
l'avesse scelta, ma perché la portano gli altri. E voi il twist non lo avete
scelto, ma ve lo hanno imposto e ve lo possono imporre come vogliono. Un ballo,
se è bello o brutto non importa, quello che impongono è quello che pigliate. Se
fissano a New York che quest'anno ballate l'Aida, voi ballate l'Aida, se
fissano che ballate la messa da morto, ballate la messa da morto. La vostra
libertà è di scegliere entro i limiti delle poche possibilità che vi danno,
cioè di ballare un twist o un madison, ma non di ballare o pensare; non di
ballare o regnare e essere padroni del vostro voto, del vostro pensiero; non di
ballare oppure vincere discussioni; non di ballare o convincere le persone con
cui parlate... purtroppo la mia previsione è che sarete pecore, che vi
piegherete completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la
moda, che passerete il tempo come vuole la moda. Ma mi dite che soddisfazione
ci trovate ad accettare una situazione simile? Ribellatevi! Ne avete l'età.
Studiate, pensate, chiedete consiglio a me, inventate qualcosa per sortire da
questa triste situazione in cui siete e poter arrivare al punto di fare
realmente, con una libera scelta vostra, le cose che vi par giusto fare. Per me
sarebbe una umiliazione tremenda se uno mi domandasse: «Cosa stai facendo?
Perché lo stai facendo?» e dovessi restare a bocca aperta senza rispondere.
Educo i miei ragazzi così, a saper dire in qualunque momento della loro
vita, cosa fanno e perché lo fanno”.
Attraverso il suo progetto educativo, il don dà valore
all’impegno personale alla costruzione del bene comune. Ognuno deve agire come
si sentisse responsabile di tutto, in armonia e coerenza con la propria
coscienza autentica di cittadino sovrano e non più di suddito.
“A fare quelle mossettine in sala da ballo ti riesce e a
seguire una riunione politica e sindacale che ti prepara a essere più capace,
più sovrana, ti pare di non essere capace? Eppure probabilmente l'anno
prossimo andrai a lavorare e avrai davanti responsabilità immense:
licenzieranno una tua compagna di lavoro e dovrai decidere se scioperi o no per
lei, se difenderla o no, se sacrificarti o non sacrificarti per lei, se andare
in corteo davanti alla prefettura o davanti alla direzione, se rovesciare le
macchine e rompere i vetri oppure se tu dovrai zitta zitta chinare la testa e
permettere che la tua compagna sia cacciata fuori a pedate dalla fabbrica. Tu
queste cose le dovrai decidere l'anno prossimo e per ora ti prepari, twistando
in una sala da ballo?"
Da Barbiana don Milani tenta di far sentire ognuno protagonista di un
progetto di responsabilità comune. Si può cominciare a scegliere, a mettersi in
gioco, a farsi promotore della diversità. E questo può e dovrebbe partire da
ogni “maestro che – come scrive don Lorenzo - deve essere per quanto può
profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose
belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in modo confuso”.
"Dovremmo anche – sono ancora sue parole – avere il coraggio di dire ai
giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una
virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far
scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano
ognuno l’unico responsabile di tutto".