lunedì 20 ottobre 2014

Il "per me" della fede



Nella mia Equipe a raccontarci di  fede, di dolore e di morte, rileggo come in trasparenza il “per me” della fede.

E’ dono questo è certo; inaspettato e non trasmesso per discendenza. 

Un dono che sulle prime non l’ho gradito, era ingombrante, pesante, fastidioso.
Di cui per altro mi lamentavo del fatto che mi era inutile, cosa farmene?

Un dono che, l’ho scoperto solo da non tanto tempo,  non diventa un’altra cosa una volta che è arrivato.
Resta un dono: non si trasforma in un fondo assicurativo, una fornitura sin quando si vive, un’usanza o una generica qualità biografica.   

Mantiene il mistero  della sua incomprensibilità, la precarietà del suo mantenimento, la consistenza della sua presenza.
Genera trepidazione e eccitazione, continuamente, quasi nella stessa misura

S’incrocia e meticcia con la nostra storia, i nostri geni, la nostra cultura,…ma li porta oltre trasformandoci.

Nella vita crea anche scompiglio e grazie a questo dono non sai bene dove si vada a finire perché è perenne sorpresa.


Non è una visione di un “già visto”, non è assicurata, come noi la intendiamo solitamente, una vita simile ad una commedia  dal buon lieto “the end”.

E’ materialità, concretezza dell’irrompere della vita di Dio nella nostra storia e nelle nostre fibre, e pure insieme  è differenza ostinata ad ogni forma di esistenza che ne nasce.

Suscita un imprevedibile senso di gratitudine, all'opposto di qualsiasi  offerta discutibile e ambivalente  che
assoggetta ad una restituzione obbligata.

Il cristianesimo, infatti, è proposta d’amore nella quale Dio vuol essere amato e non subito. Non è possesso d’identità da ostentare; non è medaglietta che reclamizza il miglior prodotto; non è una dottrina morale da seguire per essere buoni.

La fede quando agisce muove e rinnova le cose; fa attraversare il deserto placando  la sete e la fame, rendendo il dolore sopportabile, lenendo la sofferenza, rovesciando le prospettive al punto di porre lo sguardo al di là del limite su cui si ferma l’orizzonte ordinario.

C’inoltra nel “già e non ancora”, ci fa stare nel “qui ed ora” trasfigurato.

E allora capisci che la bellezza esiste ovunque, percepisci che ogni cosa svela la presenza benevola del Padre.

Tutta la vita diventa novità sorprendente.
La fede crea varchi, per la forza e l'azione di Dio.
Non cambia semplicemente le menti, non esprime solo nuove idee dalle quali nasce poi una prassi che trasforma il mondo (sebbene io creda che pur rimane azione rivoluzionaria!).


E' come avere la percezione di mettersi nel luogo in cui lo Spirito Santo sta gemendo e pulsando, come dice Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8).

La fede sta sul campo, sempre.
 

A quel punto capisci ( o ti pare meglio di capire) anche il mistero dell'incarnazione:  sai che Dio muove il mondo in Gesù.
E non ti tormenterai se riterrai di non essere all’altezza, di non avere sufficientemente fede per il fatto di dirti cristiano.

Se sei un credente il mondo inseme a te si smuove.

La vita d’ogni giorno come le cose, attraverso uno sguardo diverso cambiano,  come cambiano i rapporti con le persone, tra  marito e  moglie...    Una leggerezza, un senso di libertà maggiore pervade le relazioni.

Solo il permanere nella condizione di partenza, nello stato di sofferenza svela l’alibi della fede, la mistificazione della fede, il volto dietro il quale si nasconde la rigidità e la paura, l'integralismo.
La fede avvicina, genera contatti, crea legami.  Oppure allontana perchè provoca cambiamenti, attiva novità e tutto ciò sopaventa, incute timore.

Quando Dio ti tocca c'è un contatto, una prossimità, una stretta vicinanza.  La fede è questo: percepire la contiguità fra Dio e l’ uomo, fra noi e il Padre.


E poi ho scoperto che la fede non è appropriazione di granitiche certezze e forza di soppressione del dubbio. Non è riparo e sicurezza per anime pie e già accomodate. 

Viceversa, è il trionfo  sul dubbio, e l’incertezza e l’oscurità si superano passandoci in mezzo!