Ci
si ricorda ancora di Maritain? E' vero non è più di moda. Sembra un personaggio d'un altro mondo, un personaggio di
un’epoca nobile e lontana. Incurante delle mode mantengo vivi nel mio cuore, con gratitudine, amori e amicizie e come potrei allora scordare chi per alcuni
anni attraverso i suoi libri mi ha preso per mano fino a condurmi ad avere
nostalgia dell’assoluto? Fino a rendermi mendicante del Dio di Abramo
d’Isacco e Giacobbe? Fino a farmi piegare le ginocchia ed introdurmi,
balbettante, nel mistero del Dio fatto uomo? Fino a “tomistizzarmi” e lasciarmi rapire
dalla filosofia e dalla teologia.
Jacques
e Rissa Maritain i loro nomi li ho imparati d’un fiato e con le lacrime agli
occhi m’abbeveravo al libro autobiografico “I grandi amici” penetrando nella
loro avventura spirituale, dalla giovinezza scontrosa e ribelle del nipote di
Jules Favre all’approdo tra i Piccoli
Fratelli. Da socialisti anarcoidi a
convertiti attraverso la sfida alla vita.
“Durante un pomeriggio d’estate passeggiavamo,
Jacques ed io, nell’orto botanico…tanto caro ai parigini della riva sinistra…
Ci piaceva andarci dopo i corsi (di filosofia), quando io ritornavo a casa a piedi dalla Sorbona; e come tutti
coloro che avevano l’abitudine di passeggiare per quel giardino, anche noi
eravamo amici delle bestie innocenti, alle quali si può far piacere con un po’
di pane. Ma in quel giorno passavamo senza guardare gli orsi e senza neppure
sentire le foche; decisamente non eravamo felici, eravamo invece molto
infelici. Avevamo appena esaminato ciò che ci avevano portato due o tre
anni di studio alla Sorbona; senza dubbio un bagaglio importante di
conoscenze scientifiche e filosofiche, ma quelle conoscenze erano minate alla
loro base dal relativismo degli scienziati, dallo scetticismo dei filosofi…
eravamo con tutta la nostra generazione , le loro vittime. … quest’angoscia
metafisica che penetra alle sorgenti del desiderio di vivere, è capace di
divenire una disperazione totale e di sfociare nel suicidio. … ci eravamo
appena detti, quel giorno che, se la nostra natura era così disgraziata da
possedere soltanto una pseudo-intelligenza, capace di giungere a tutto salvo
che alla verità…. Allora tutto diventava assurdo e inaccettabile. Non possiamo
vivere secondo i pregiudizi, buoni o cattivi; abbiamo bisogno di misurare la
giustizia ed il valore: ma secondo quale misura? Dov’è la misura di tutte le
cose?. Desidero sapere se l’esistenza è un accidente , un beneficio o una
sventura. Disprezzo la rassegnazione e la rinuncia dell’intelligenza di cui
abbiamo tanti esempi intorno a noi…. Se dobbiamo rinunciare a trovare un senso
qualunque alla parola verità, alla distinzione del bene e del male, del giusto
e dell’ingiusto, non è più possibile vivere umanamente. Non volevo saperne di
una tale commedia; avrei accettato una vita dolorosa, ma non una vita assurda…e
anche Jacques, ora, si trovava disperato come me… questa vita che non ho
scelta, non voglio più viverla in queste tenebre. Perché la commedia è tragica:
si recita su un teatro di lacrime e sangue. La nostra perfetta intesa, la
nostra felicità, tutta la dolcezza del mondo, tutta l’arte degli uomini non
potevano farci ammettere senza ragione, la miseria, l’infelicità, la cattiveria
degli uomini. O la giustificazione del mondo era possibile o la vita non valeva
la pena di un istante di attenzione… in nessun caso lo stato delle cose è
accettabile senza una luce vera sull’esistenza. Se tale luce è impossibile,
anche l’esistenza è impossibile e non vale la pena viverla….”.
Mi
ritrovavo così poco più che ventenne, insoddisfatto e inquieto, allo sbaraglio
in itinerari che hanno attraversato il delirio per la mia generazione: dalla
militanza in gruppi extraparlamentari, alle droghe attraverso viaggi per
cercare come Shiddarta la pienezza, la perfezione. Un senso all’esistenza.
Ecco
perché mi ricordo ancora di Maritan, di Jacques e Raissa Maritain, di Vera
sorella di Raissa e della cerchia dei loro amici (di cui mi sentivo parte)
insieme a Leon Bloy, Gilson, Yves René
Simon, Henri-Irénée Marrou, Nicolaj Berdjaev, Réginald Garrigou-Lagrange,
Jacques Froissard, Thomas Merton, Charles Journet, Maurice Zundel, Paul
Claudel, Georges Bernanos, François Mauriac, Jean Cocteau,Georges Rouault, Marc Chagall, Gino Severini, Tullio Garbari, William
Congdon.
La
scoperta del loro mondo illuminava il mio presente, rischiarando la mia vita.
Jacques
incarnava il modello cristiano a cui miravo: un convertito, per questo credibile ai miei occhi, vicino al mio sentire.
La
sua vita di preghiera, il suo bisogno di contemplazione, la sua appassionata e
incessante ricerca di Dio. La sua fede così lontana dalla presentazione
borghese della Chiesa come l’avevo conosciuta.
Un pensiero cristiano sprofondato nella vita
di fede. Di qui anche il disagio a definire Maritain semplicemente “filosofo”,
e non perché non ne abbia la statura speculativa, ma per quel primato della
fede, della Parola, dell’eucaristia che segna la sua vicenda.
Raissa
e Maritain: un “amore folle” in Dio come pochi. Non si può parlare di Maritain
senza Raissa, Jacques non l’avrebbe mai fatto.
Insieme
nel cammino di conversione, insieme nell’avventura culturale, insieme nella
vita di fede.
Il
silenzio di Raissa accompagna e sostiene
le parole di Maritain, ogni tanto si rompe in un esile intreccio di
voci, ma non c’è opera significativa di Maritain che non sia stata letta a
Raissa, discussa insieme a lei fino alla sua morte.
Sposi
in “una singolare amicizia” e in una singolarissima vocazione, esempio forse
unico di rapporto nella fede tra un uomo
e una donna.
Il
suo impegno culturale è in uno dei periodo
più drammatici del ‘900, quello che va dagli anni venti agli anni cinquanta. E’
in questo crogiuolo di ferro e di fuoco che si colloca l’azione dei Maritain:
dall’entusiasmo per Jaurés, al rifiuto del mondo moderno, alla collaborazione
con Maurras, alla svolta di Umanesimo integrale. Era la liberazione,
l’uscita da un incubo e da un equivoco che rompeva il nesso
cattolicesimo-reazione. L’idea di una “nuova cristianità” “oltre” il moderno
era la conquista di un orizzonte nuovo.
Con
Umanesimo integrale si scopre anche tutta la suscettibilità nella Chiesa e
nel mondo cattolico per questo don Chisciotte di S.Tommaso. Cominciano i sospetti, gli attacchi.
Dopo
la morte di Raissa, solo, ormai veramente solo, Jacques va tra i Piccoli Fratelli.
Davvero
in questa scelta si compie tutta la profondità della sua vita e del suo
pensiero.
Non
sta a me oggi valutare quanto resti di vivo del pensiero di Maritain; non sono
nessuno, ma forse non è questo il senso decisivo della sua lezione. E poi
avendolo “frequentato” con passione e trasporto sarei assolutamente un
partigiano.
Credo ci siano e ci saranno “pensatori cattolici”,
ma Maritain si colloca oltre questa figura: un cristiano a cui è capitato di pensare creativamente in un
momento drammatico della storia europea. Tra azione e contemplazione: in questo
senso Maritain indica un metodo della presenza cristiana nel pensiero che è
solo dei grandi e dei santi. Fuori da questa sovrabbondanza solo ripetitori o brillanti omelie.
Muore
il 28 aprile 1973 a
Tolosa presso la comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù.
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