mercoledì 24 aprile 2013

Azione e contemplazione: ricordando Maritain



                                       
Ci si ricorda ancora di Maritain? E' vero non è più di moda. Sembra un personaggio d'un altro mondo, un personaggio di un’epoca nobile e lontana.     Incurante delle mode mantengo vivi nel mio cuore, con gratitudine, amori e amicizie e come potrei allora scordare chi per alcuni anni attraverso i suoi libri mi ha preso per mano fino a condurmi ad avere nostalgia dell’assoluto?       Fino a rendermi mendicante del Dio di Abramo d’Isacco e Giacobbe?      Fino a farmi piegare le ginocchia ed introdurmi, balbettante, nel mistero del Dio fatto uomo?   Fino a “tomistizzarmi” e lasciarmi rapire dalla filosofia e dalla teologia.
Jacques e Rissa Maritain i loro nomi li ho imparati d’un fiato e con le lacrime agli occhi m’abbeveravo al libro autobiografico “I grandi amici” penetrando nella loro avventura spirituale, dalla giovinezza scontrosa e ribelle del nipote di Jules Favre  all’approdo tra i Piccoli Fratelli.  Da socialisti anarcoidi a convertiti attraverso la sfida alla vita.
 “Durante un pomeriggio d’estate passeggiavamo, Jacques ed io, nell’orto botanico…tanto caro ai parigini della riva sinistra… Ci piaceva andarci dopo i corsi (di filosofia), quando io ritornavo a casa a piedi dalla Sorbona; e come tutti coloro che avevano l’abitudine di passeggiare per quel giardino, anche noi eravamo amici delle bestie innocenti, alle quali si può far piacere con un po’ di pane. Ma in quel giorno passavamo senza guardare gli orsi e senza neppure sentire le foche; decisamente non eravamo felici, eravamo invece molto infelici. Avevamo appena esaminato ciò che ci avevano  portato due o tre anni di studio  alla Sorbona; senza dubbio un bagaglio importante di conoscenze scientifiche e filosofiche, ma quelle conoscenze erano minate alla loro base dal relativismo degli scienziati, dallo scetticismo dei filosofi… eravamo con tutta la nostra generazione , le loro vittime. … quest’angoscia metafisica che penetra alle sorgenti del desiderio di vivere, è capace di divenire una disperazione totale e di sfociare nel suicidio. … ci eravamo appena detti, quel giorno che, se la nostra natura era così disgraziata da possedere soltanto una pseudo-intelligenza, capace di giungere a tutto salvo che alla verità…. Allora tutto diventava assurdo e inaccettabile. Non possiamo vivere secondo i pregiudizi, buoni o cattivi; abbiamo bisogno di misurare la giustizia ed il valore: ma secondo quale misura? Dov’è la misura di tutte le cose?. Desidero sapere se l’esistenza è un accidente , un beneficio o una sventura. Disprezzo la rassegnazione e la rinuncia dell’intelligenza di cui abbiamo tanti esempi intorno a noi…. Se dobbiamo rinunciare a trovare un senso qualunque alla parola verità, alla distinzione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, non è più possibile vivere umanamente. Non volevo saperne di una tale commedia; avrei accettato una vita dolorosa, ma non una vita assurda…e anche Jacques, ora, si trovava disperato come me… questa vita che non ho scelta, non voglio più viverla in queste tenebre. Perché la commedia è tragica: si recita su un teatro di lacrime e sangue. La nostra perfetta intesa, la nostra felicità, tutta la dolcezza del mondo, tutta l’arte degli uomini non potevano farci ammettere senza ragione, la miseria, l’infelicità, la cattiveria degli uomini. O la giustificazione del mondo era possibile o la vita non valeva la pena di un istante di attenzione… in nessun caso lo stato delle cose è accettabile senza una luce vera sull’esistenza. Se tale luce è impossibile, anche l’esistenza è impossibile e non vale la pena viverla….”.
Mi ritrovavo così poco più che ventenne, insoddisfatto e inquieto, allo sbaraglio in itinerari che hanno attraversato il delirio per la mia generazione: dalla militanza in gruppi extraparlamentari, alle droghe attraverso viaggi per cercare come Shiddarta la pienezza, la perfezione. Un senso all’esistenza.
Ecco perché mi ricordo ancora di Maritan, di Jacques e Raissa Maritain, di Vera sorella di Raissa e della cerchia dei loro amici (di cui mi sentivo parte) insieme a Leon Bloy,  Gilson, Yves René Simon, Henri-Irénée Marrou, Nicolaj Berdjaev, Réginald Garrigou-Lagrange, Jacques Froissard, Thomas Merton, Charles Journet, Maurice Zundel, Paul Claudel, Georges Bernanos, François Mauriac, Jean Cocteau,Georges Rouault, Marc Chagall, Gino Severini, Tullio Garbari, William Congdon.
La scoperta del loro mondo illuminava il mio presente, rischiarando la mia vita.
Jacques incarnava il modello cristiano a cui miravo: un convertito, per questo credibile ai miei occhi, vicino al mio sentire.
La sua vita di preghiera, il suo bisogno di contemplazione, la sua appassionata e incessante ricerca di Dio. La sua fede così lontana dalla presentazione borghese della Chiesa come l’avevo conosciuta.
 Un pensiero cristiano sprofondato nella vita di fede. Di qui anche il disagio a definire Maritain semplicemente “filosofo”, e non perché non ne abbia la statura speculativa, ma per quel primato della fede, della Parola, dell’eucaristia che segna la sua vicenda.
Raissa e Maritain: un “amore folle” in Dio come pochi. Non si può parlare di Maritain senza Raissa, Jacques non l’avrebbe mai fatto.
Insieme nel cammino di conversione, insieme nell’avventura culturale, insieme nella vita di  fede.
Il silenzio di Raissa accompagna e sostiene  le parole di Maritain, ogni tanto si rompe in un esile intreccio di voci, ma non c’è opera significativa di Maritain che non sia stata letta a Raissa, discussa insieme a lei fino alla sua morte.
Sposi in “una singolare amicizia” e in una singolarissima vocazione, esempio forse unico  di rapporto nella fede tra un uomo e una donna.
Il suo impegno culturale è in uno dei periodo più drammatici del ‘900, quello che va dagli anni venti agli anni cinquanta. E’ in questo crogiuolo di ferro e di fuoco che si colloca l’azione dei Maritain: dall’entusiasmo per Jaurés, al rifiuto del mondo moderno, alla collaborazione con Maurras, alla svolta di Umanesimo integrale. Era la liberazione, l’uscita da un incubo e da un equivoco che rompeva il nesso cattolicesimo-reazione. L’idea di una “nuova cristianità” “oltre” il moderno era la conquista di un orizzonte nuovo.
Con Umanesimo integrale si scopre anche tutta la suscettibilità nella Chiesa e nel mondo cattolico per  questo don Chisciotte di S.Tommaso.    Cominciano i sospetti, gli attacchi.
Dopo la morte di Raissa, solo, ormai veramente solo, Jacques  va tra i Piccoli Fratelli.
Davvero in questa scelta si compie tutta la profondità della sua vita e del suo pensiero. 
Non sta a me oggi valutare quanto resti di vivo del pensiero di Maritain; non sono nessuno, ma forse non è questo il senso decisivo della sua lezione. E poi avendolo “frequentato” con passione e trasporto sarei assolutamente un partigiano.
 Credo ci siano e ci saranno “pensatori cattolici”, ma Maritain si colloca oltre questa figura: un cristiano a cui  è capitato di pensare creativamente in un momento drammatico della storia europea. Tra azione e contemplazione: in questo senso Maritain indica un metodo della presenza cristiana nel pensiero che è solo dei grandi  e dei santi.  Fuori da questa sovrabbondanza solo ripetitori  o brillanti omelie.
Muore il 28 aprile 1973 a Tolosa presso la comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù.
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mercoledì 17 aprile 2013

Intrecci di vita



Una delle piccole grandi gioie feriali di un papà è quella di andare a prendere il proprio figlio a scuola.

Mi capita raramente e mi accorgo di quante occasioni perse è fustellata la mia vita…

Nel tragitto verso la scuola mi sale un pò di emozione e poi c’è sempre un trepidare in quegli attimi di attesa.

Ci si guarda in giro, si salutano volti noti, affiorano richiami alla storia personale, alla memoria di quando mio padre mi aspettava fuori della scuola.

La storia si ripete ma non come fotocopia.

Nella mia scuola, alle elementari, quarant’anni e oltre di vita, non ho il minimo ricordo di scolari - compagni di classe numerosi poiché figli tutti del boom economico - dalle pelli di colore diverse dal bianco, dagli occhi a mandorla e da lingue straniere e lontane.

Gli “stranieri” erano altri italiani, gente del sud e veneti, alcuni friulani.

Oggi, in questo caldo e soleggiato pomeriggio di metà aprile, nell’attesa vedevo lo sciamare di piccoli studenti dai lineamenti diversi, neri e mulatti e tonalità di carnagioni olivastre; sentivo spezzoni di lingue di innumerevoli nazionalità nei capannelli di padri e madri e nonni ad aspettare.

In questo piccolo comune di 6000 abitanti oltre il 10% proviene da nazionalità estere (Albania, Russia, Marocco,  Romania, Camerun, Turchia,..) e il loro numero è destinato a crescere.

Ecco, escono i più piccoli e poi quelli della seconda elementare.

Esce mio figlio, mano nella mano ad una sua compagna di classe dalla pelle scura scura.

La vita è questa, mescolanze di colori e tradizioni, continui intrecci e tessiture di storie diverse…