Il dibattito sui temi etici riaffiora a tratti con toni prepotenti e
frasari volgari. Fino a connotarsi di asprezze
ideologiche, nascondendo a mio parere, un vuoto culturale, l’ottusità nel non
voler cercare di leggere il tempo attuale, l’insipienza di una classe politica che
trova funzionale strizzare l’occhiolino ad una chiesa arroccata sulle difensive
di presunte e intoccabili verità assolute. Per poi cadere nel patetico quando inalbera
vessilli di “valori non negoziabili”.
Alte vibrano le voci a difesa della famiglia tradizionale, naturale e
cristiana. Al vuoto mi sottraggo andando
ad alimentare la mia ricerca di fede e di prassi, e non volendo smorzare la mia
curiosità intellettuale, alle riflessioni di uomini e donne che hanno saputo
fare della loro vita una testimonianza di ricerca e di tensione. Così mi ritrovo a rileggere le considerazioni
di Balducci fatte nel 1974 (in occasione della legge sul divorzio) presso la
comunità dell’Isolotto di Firenze. Le rileggo, proponendole nel mio blog, non
sottraendomi all’emozione di avere davanti pagine profonde e lucide,
anticipatrici. Attuali perché generano, rimandano alla ricerca di un oltre, di
un superamento, ciò che lui definiva “il mio esodo perenne”. DDV
di Ernesto Balducci
Svelare le mistificazioni e le menzogne.
A mio modo di vedere, è bene affrontare il referendum
traendone tutti i vantaggi possibili, una volta che una certa parte ne ha messo
in moto la macchina e nonostante che esso, con tutta evidenza, voglia coprire
una manovra con obbiettivi reazionari.
Credo che il primo vantaggio sia proprio quello di
convocare le masse ed in specie le comunità cristiane, come qui, stasera, ad
affrontare in modo critico questo come altri problemi in cui rimane inceppata,
per mancanza di consapevolezza, la nostra crescita sociale. Affrontare questi
problemi, per svelare tutte le mistificazioni, le menzogne, concretizzate e
dissimulate all’interno di certi principi suggestivi.
Parlando da cristiano a gente che in gran parte si
ritiene tale, ci tengo a dire che il momento che stiamo vivendo è proprio il
momento in cui dobbiamo abbattere (noi ne siamo i primi responsabili) quella
che chiamerei l’ideologia cattolica, come ideologia di copertura del mondo
borghese, il quale mondo borghese trova vantaggio nel coprire i suoi obbiettivi
di conservazione sociale con dei valori cosiddetti cristiani che hanno ancora
una grandissima forza di suggestione nelle coscienze.
La difesa
della famiglia cristiana è un aspetto dell’ideologia cattolica che,
molto di più di quanto potremmo pensare, nasconde la volontà di
conservare un certo tipo di società e un certo tipo di sistema di rapporti di
proprietà. Alzare quindi questo velo è in un sol momento recuperare la
possibilità di un rapporto più vivace, più liberatorio col Vangelo e
smascherare le reali intenzioni della classe dominante. Così quando i nostri
vescovi hanno creduto di dover convocare i cattolici a una battaglia, la
battaglia della indissolubilità giuridica del matrimonio in Italia, hanno fatto
riferimento a un modello cristiano della famiglia e certo un tale riferimento
non può non avere risonanza nella coscienza di una larga parte del popolo
italiano, anche di quella che politicamente ha fatto delle scelte dissenzienti
nei confronti della chiesa.
Non esiste un modello cristiano di famiglia
Che cosa si nasconde, però, dietro questo cosiddetto
modello cristiano della famiglia? E’ lecito attribuire al messaggio cristiano
un modello di famiglia quale quello che abbiamo ereditato dal passato e che
ancora sopravvive? Ecco, la risposta è subito NO. Si tratta appunto di una
menzogna, non di quelle architettate da chi sa quale mal intenzionato, ma di
quelle menzogne che nascono per una specie di escrescenza storica progressiva,
sulla spinta di altre ragioni che non sono di tipo ideale, ma pratico.
Non esiste la “famiglia cristiana”, essa è appunto un
falso valore. Io vorrei mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione,
ricercando anche le ragioni per cui essa è nata e si è fatta valere e
riferendoci con coscienza liberata alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo
in movimento tra le forze che mirano a far crescere la nostra società e
liberarla anche da altre schiavitù.
Che cosa intendiamo quando si parla di modello
cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento
giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla
chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della
famiglia, che, anche indipendentemente dall’ordinamento giuridico-canonico, si
è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia
tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.
Ora, spieghiamoci su questo punto. Intanto sta di
fatto che quando noi parliamo della famiglia secondo l’ordinamento canonico,
quello che per adesso rimane in prima gestione della Sacra Rota e dei Tribunali
diocesani, noi non dobbiamo affatto ritenere che si tratti della traduzione
giuridica di un ideale evangelico. Si tratta invece di una creazione storica,
precisamente databile, di cui è responsabile la chiesa cattolica.
I primi cattolici non avevano un ordinamento
giuridico proprio della famiglia. Essi vivevano la vita di famiglia, ed anche
diremmo istitutivi, secondo il costume del tempo. Non c’era, per dir così, il
matrimonio in chiesa; non c’era una anagrafe o un tribunale ecclesiastico
per i matrimoni, non c’era il prete, al matrimonio. I cattolici si sposavano
come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro matrimonio un
ordinamento giuridico particolare all’interno del generale ordinamento
giuridico della società in cui vivevano, specialmente in quella romana.
Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il
matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il padre di
famiglia destinava alla figlia un dato marito, d’accordo con la famiglia del
promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere nulla, perché
questo era il costume.
Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani
un modello di “famiglia cristiana”. Così, per quanto riguarda il modello etico
della famiglia, non esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei
primi secoli. C’è una visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al
riferimento a Cristo. Non esiste però un ideale di famiglia con particolari
contenuti morali. La prassi familiare si modellava sul costume morale del
tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un rigore morale, un
rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe degenerazioni;
però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l’etica degli stoici o
dei pitagorici. Quindi il cristianesimo non si presenta con una sua etica
familiare formulata nei primi tempi.
Come nasce il concetto di modello cristiano della
famiglia
Solo quando la chiesa, dopo Costantino e precisamente
con Giustiniano, acquista una responsabilità di tipo sociale, per cui tutti i
momenti della vita sociale vengono gestiti dal clero, incomincia a formarsi un
ordinamento matrimoniale cristiano che, come vedremo, si è poi accresciuto, si
è arricchito, si è accreditato in ogni modo fino a trovare il suo sigillo nel
Concilio di Trento e a diventare anche un modello di ispirazione per molti
ordinamenti giuridici civili. Il codice napoleonico fu in gran parte tributario
di questa tradizione giuridica della chiesa medioevale.
Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto
cristiano ha veramente obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle
esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia
cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con
tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto
storico e, come tale, relativo.
Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di
vista diremo dell’individuazione culturale, che significhi difendere in una
società pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale sia
questo modello, perché non si dà un modello proprio del cristiano.
La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come
prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi,
particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo
sfruttamento che sono tutti da rifiutare.
Caratteristiche storiche delle famiglia cristiana da
considerare superate.
Quali sono queste caratteristiche storiche da
considerare superate? Innanzitutto è chiaro che l’unità della famiglia
cristiana usufruiva di un dato economico, era l’unità patrimoniale. Il padre di
famiglia era l’unico responsabile del patrimonio familiare, era lui l’unica
figura economica della famiglia. E quindi l’unità della famiglia, anziché
essere il prodotto della scelta cosciente dei coniugi, era un portato fatale
dell’indivisibile unità patrimoniale. Che cosa avrebbe potuto fare una buona
donna cristiana, si fa per dire, di ceto povero, se avesse avuto mille
motivi per lasciare il marito: andare a morire di fame o essere rifiutata dalla
società abbiente come donna deplorevole, di cattivi costumi, ecc. La donna era legata
a questo giogo dell’indissolubile monarchia economica del padre di famiglia.
A reggere l’indissolubilità della famiglia, oltre a
questa ragione economica, esisteva un ambiente cosiddetto monoculturale, cioè a
cultura unica, per cui tutti gli elementi culturali dell’ambiente spingevano a
ricercare la propria identità nella famiglia di appartenenza.
Una donna non aveva un suo mondo culturale. I figli
non avevano un mondo culturale autonomo. Non c’erano spazi diversi per
l’esperienza di vita. La famiglia rappresentava il luogo normale e continuativo
della esperienza culturale. L’unità quindi si manteneva perché mancavano forze
centrifughe , aperture di orizzonti diversi per i componenti della famiglia.
Pensate, ad esempio, al legame quasi fatale fra il lavoro del padre e del
figlio
In terzo luogo c’era la subordinazione della donna
all’autorità maritale, che era una norma assoluta. L’attività pastorale della
chiesa ha in questo una specifica responsabilità, perché il modello che si
forniva alla donna era un modello di subordinazione al marito. La “donna
cristiana” è quella che dice sempre di sì al marito, che non ha in nessun campo
iniziativa propria, le cui virtù sono tutte una garanzia alla tirannide
maschile e i cui compensi mistificanti sono l’essere l’angelo del focolare.
Perfino San Paolo porta riflessi della condizione
sociale della donna dei suoi tempi, quando dice che la donna deve essere
sottoposta al marito, o deve coprirsi il capo quando entra in assemblea perché
il capo della donna è l’uomo. San Paolo non rivela niente che abbia
rapporto con la liberazione portata da Gesù Cristo Assume norme di
comportamento proprie della società ebraica. Ma noi dobbiamo sapere che la
fedeltà alla parola di Dio non è fedeltà ai modelli sociologici del comportamento,
legati ad una certa fase dello sviluppo storico. La parola di Dio non
assolutizza, non rende normativi quei modi di comportamento, ci esorta anzi a
liberarcene.
E alla fine c’era il pessimismo sessuale, che
svuotava la famiglia di ogni significato positivo di comunione spontanea a
tutti i livelli e relegava la vita sessuale a una funzione di servizio in
rapporto alla procreazione.
Il matrimonio è per i figli. In realtà, pensate che
nel passato, anche in quel passato che certi nostalgici rimpiangono, il
consenso libero della donna al matrimonio era una circostanza neanche presa in
considerazione. La donna aveva così radicalmente accettato il modello impostole
dalla società e dalla chiesa che aveva perfino vergogna a dire che desiderava
prender marito; magari lo desiderava con tutta se stessa, ma tale desiderio
rimaneva inibito. Doveva esser lei, la donna cercata. Doveva essere senza
iniziative e con un’etica del comportamento femminile che voi conoscete bene.
La stessa definizione della donna era di tipo
biologico. La donna si definiva in rapporto alla sua biologia: era vergine o
madre. Non persona, come l’uomo, capace di decidere della propria vita
indipendentemente dalla condizione biologica; ma legata strettamente a questa,
con delle sfere di mortificazione terribili, come la donna che non ha sposato,
la zitella, considerata una donna fallita.
Oggi ci troviamo nella situazione in cui lo sviluppo
della società ha messo in crisi le componenti di struttura che sorreggevano un
certo tipo di famiglia cosiddetta cristiana. Abbiamo una crisi della
famiglia che per molti è la crisi della famiglia cristiana, ma che invece è la
crisi della famiglia tradizionale e niente altro.
Allora, un credente, quali doveri ha in questo
momento? Non di stringersi di far quadrato attorno a un modello di famiglia che
non ha più nessuna ragione storica di continuare, ma rifarsi all’esigenza
evangelica, interrogarsi di fronte al Vangelo.
Ora, secondo me, il Vangelo, non ci dà nessun esempio
di famiglia precisa. Anche la sacra famiglia è un’invenzione posteriore,
borghese, perché la famiglia di Nazareth, non è un modello di famiglia, per il
semplice fatto che, almeno nelle convinzioni di fede, Maria e Giuseppe non
erano autenticamente marito e moglie. Quindi, presentare come modello di
famiglia un modello in cui proprio l’aspetto principale non era integro,
significa fare una mistificazione.
Indicazioni evangeliche.
Occorre domandarsi piuttosto in che senso il Vangelo
si apre a questa esperienza particolare della vita che è l’amore nella
famiglia, nella linea della liberazione, cioè nella crescita secondo il disegno
di Dio.
A me pare che ci siano dei punti fermo, questa volta
autenticamente fermi, a cui fare riferimento in questo tentativo di recupero
del significato evangelico che può avere la vita nell’amore, la vita familiare.
Innanzi tutto , è sicuramente un’affermazione di fondo del Vangelo che dinanzi
a Cristo non c’è nessuna differenza fra l’uomo e la donna, dinanzi a Cristo non
c’è né maschio né femmina.
Quelle discriminazione desunte dalla realtà
sociologica, che hanno un riflesso nella sacra scrittura, devono essere
subordinate a questa che è l’autentica rivelazione in rapporto alla
resurrezione: in Gesù Cristo la disparità tra l’uomo e la donna è abolita.
Certo noi sappiamo che la parola del Vangelo non si presta a diventare – guai
del se lo facessimo – un fondamento per nuovi ordinamenti giuridici;
perché la parola del Vangelo, come si suol dire, è parola profetica, cioè una
parola che indica certe linee di crescita, le quali sboccano in una totale
liberazione cristiana.
In secondo luogo, secondo il Vangelo, la fedeltà non
è il risultato di una legge esterna che costringe, ma è un’espressione
dell’amore.
Un’altra esigenza interna allo spirito evangelico è
il rifiuto della strumentalizzazione, del rendere l’altro uno strumento di sé.
Espressioni bibliche quali. ”la persona umana è fatta
a immagine di Dio”, “amate i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo”, “amate
le vostre mogli come Cristo ama la
Chiesa”, per un credente sono un invito decisivo a rifiutare
di fare dell’altra persona uno strumento di sé, si tratti dei rapporti fra
coniugi, si tratti di rapporti familiari.
Questo rispetto della persona significa garanzia del
rapporto veramente comunitario, perché tra rapporto comunitario e rapporto di
società stabilito dalla legge c’è una differenza di qualità: il rapporto
comunitario in tanto è, in tanto vive, in quanto trova la sua sorgente nel
libero consenso e nel rispetto spontaneo della coscienza verso l’altro; i
rapporti societari invece sono quelli che si stabiliscono per forza di legge.
La famiglia è un’istituzione legata alle condizioni
storiche.
Siamo all’ultimo punto: non dobbiamo cadere in un
così ingenuo evangelismo da credere che la famiglia non interessi la società,
che debba essere riferita soltanto all’esperienza spirituale.
Ogni espressione dell’uomo, ma la famiglia in
particolar modo, in quanto si innesta nei rapporti sociali generali, ha bisogno
di istituzionalizzarsi. La istituzionalizzazione è un momento di serietà umana,
il momento in cui si traduce in norma esterna la responsabilità di fronte alla
società intera.
Però, non è con questo momento istituzionale che si
definisce la famiglia. Il momento istituzionale è quello in cui l’esperienza
della famiglia assume rapporti e responsabilità con l’insieme della realtà
sociale. E la società, come tale, ha bisogno di tutelare la famiglia, di
farsene garante in qualche modo, di proteggerne e favorirne lo sviluppo. Ma
questo momento, lo ripeto, è un momento del tutto legato alle condizioni
storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni storiche; perciò oggi
c’è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.
La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia
c’è la poligamia, poi si è acquisito il concetto della famiglia monogamica, che
forse è un concetto irrinunciabile. Però non si deve dire che è la natura che
l’ha voluto, perché questo significa attribuire alla natura astratta delle
conquiste storiche che sono invece relative anch’esse.
Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà
cambiare struttura. Il concetto del diritto naturale è un concetto
dell’immobilismo borghese, con cui si sono voluti rendere eterni e immutabili
alcuni rapporti che erano funzionali alla società borghese. E qual è il
criterio con cui la famiglia deve cambiare struttura? E’ quel di più di libertà
che l’uomo deve avere. Quando diciamo libertà non parliamo della libertà
soggettivistica identica al libero arbitrio, ma di una libertà in cui veramente
l’esistenza dell’uno sia garanzia e condizione della libertà di tutti gli
altri.
Questa crescita della famiglia presuppone un nuovo
diritto familiare in cui dovrà essere anche previsto il caso nel quale la
fedeltà reciproca di indissolubilità non è più possibile. Cioè la clausola del
divorzio come verifica di un fallimento dell’esperienza e come legittima dei
due, che hanno portato a termine un’esperienza fallita, di crearsi una
esistenza coniugale. Questo la legge lo può fare; a rigore, lo deve fare. Però
il diritto di famiglia non è questo. Ecco perché dovremo, una volta superata la
battaglia sul referendum, considerarci continuamente mobilitati per favorire in
Italia una modificazione profonda del diritto di famiglia, perché esistono già
ormai le condizioni di coscienza generali e perché certe norme giuridiche della
tradizione siano abolite e superate.
E naturalmente, quando si fa questa battaglia per un
nuovo tipo di famiglia, si deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di
società, perché se i rapporti economici rimangono quelli che sono poco vale il
modificare i rapporti giuridici. Al più avremmo un aggiornamento
neo-capitalistico della famiglia.
In ogni caso, una battaglia per la famiglia che si
apre con il referendum, non si chiude con il referendum. Però dobbiamo dirci
che noi, in quanto cristiani, non abbiamo niente, nessun modello nostro da
difendere. Noi dobbiamo ricercare con gli altri un modello giuridico ed etico
di famiglia, perché non abbiamo privilegi di nessuna sorta come credenti.
Come credenti ci compete l’onere e il privilegio, se
volete, di essere fedeli alle ispirazioni evangeliche fondamentali; ma queste
ispirazioni non sono da tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una
spinta continuamente trasformante della realtà storica, disponibili a sempre
nuove forme di ordinamento familiare.