lunedì 30 maggio 2016

Crisi, separare e scegliere




Il termine “crisi”, di derivazione greca, in origine indicava la divisione, l’atto del separare. Il verbo era soprattutto utilizzato con riferimento alla trebbiatura, cioè all’attività conclusiva nella raccolta del grano, consistente appunto nella separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula.
Da qui derivò tanto il primo significato di “separare”, quanto quello traslato di “scegliere”.
E’ esperienza quotidiana di ciascuno di noi: per scegliere si fa un’operazione di distinzione, si separa.
Scegliere implica un preferire, un anteporre, un optare, un prediligere.
Dunque siamo perennemente nella condizione di scegliere e separare; siamo permanentemente portati verso la crisi.
Siamo chiamati, a volte con sofferenza, a trattenere ciò che vale e scartare ciò che riteniamo non abbia pregio o valga meno. Stabiliamo, attraverso categorie di giudizio e criteri di merito, valutazioni che ci orientano nelle scelte che poi ci guidano. Il criterio etico, morale, religioso,… di opportunità e convenienza sociale, economica…
L’uomo è chiamato costantemente a scegliere. L'immagine delle due vie è un motivo ricorrente nella Bibbia, dove è sinonimo di scelta, di decisione vitale e morale. In gioco c’è la vita, il volto della propria coerenza e identità; lo spessore e la fedeltà  all’esistenza sotto il cielo dei viventi.
"La via dei giusti è come la luce dell'alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio. La via degli empi è come oscurità" (Proverbi 4,18-19). Significativa è questa dichiarazione del Deuteronomio: "Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e la morte la benedizione e la maledizione: scegli dunque…" (30,15.19).
Le due strade sono spesso dipinte a colori vivaci attraverso un'altra simbologia di tipo vegetale-agricolo.
In uno scenario desolato e soleggiato come quello palestinese un albero rigoglioso e carico di frutti, lungo una corrente di acqua viva, diventa un emblema espressivo di letizia e di benessere e, quindi, di giustizia ricompensata. Questa immagine era già stata usata da Geremia: "Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l'acqua, verso la corrente stende le sue radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell'anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti" (17,7-8).

Alla solidità dell'albero, si contrappone l’irrilevanza della pula, secca, inconsistente. Una lunga tradizione biblica equipara l'empietà a questa realtà inutile e impalpabile. Addirittura nei Vangeli l'immagine diventa l'annunzio del giudizio di Cristo fatto dal Battista: "Egli ha in mano il ventilabro (Pala di legno usata dai contadini per liberare il grano dalla pula) per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile" (Luca 3,17).
E’ urgente allora, nell’epoca ritmata da scelte e separazioni, educarci (ed educare) costantemente alla crisi; entrarvi e usare tutto il discernimento di cui siamo capaci fino a cogliere un suono più profondo di là dal rumore della vita normale. Incoraggiandoci ad andare oltre il frastuono di chiacchiere vane in un tempo da riempire sciupandolo.
E cercare, fino a questuare quel dono di vedere – attraverso le apparenze e al di là di esse – il profondo legame di tutte le cose, in Dio.