Quando ti
senti così felice che ti sembra che il cuore stia per scoppiare, ti sembra
quasi impossibile da sostenere una gioia così grande.
Mancano le
parole e solo grandi aggettivi affiorano dalle labbra.
Le emozioni
sconfinano e sembra di non poterle e
saperle esprimere. E a stento si trattengono lacrime.
Poi
compaiono momenti in cui questo senso di
pienezza svanisce per lasciare spazio ad un senso di calma che rasenta un
appiattimento da cui presto vogliamo uscire.
E’ allora
che sprofondiamo in quell’ordinarietà che appare banale e poco attraente, perfino
pare opprimere, prostrare.
Tocchiamo il
cielo e subito dopo sprofondiamo negli abissi. Tutto può accadere in pochi
istanti addirittura alcune volte nella stessa giornata: basta un nulla.
Siamo fatti
in questo modo, c’impegniamo a non
cadere e a fatica stiamo in equilibrio.
Capita così
di rimanere fissi, immobili per allontanare la paura di crollare.
Così si
balbetta una lode per ringraziare e una supplica.
A dirla tutta ancora non so bene cosa
sia la preghiera, cosa voglia dire pregare.
Neppure son poi così sicuro di riuscire
a pregare quando dico di pregare.
Avverto però, da sempre, il bisogno
di silenzio; il desiderio di sgranare gli occhi e puntare lo sguardo un po’ più in alto, oppure di chiuderli per cercare di separarmi e
poter penetrare nel più profondo di me.
Per trovarmi e trovare quella parte
di me che è più e oltre me stesso, sino a cogliere l’impressione di trovarmi alla
presenza di Dio.
Aldilà del mio percepire e accostarmi
a Dio “rinchiuso” in un luogo di culto, mi pare sia l’aprirsi ad una
partecipazione piena con la vita intera, un sentirmi in pace con ogni cosa (o
così mi pare).
“Dentro di me c'è una sorgente
molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla,
più sovente è coperta di pietra e di sabbia: allora Dio è sepolto, allora
bisogna dissotterrarlo di nuovo” (E.Hillesum)
Sembra a me che questa pace sia il
sentirsi uniti a Dio.
E allora mi pare di comprendere che
la preghiera non sia se non questo sentirsi, essere con Dio.
Sino a sprofondare, penetrare nella
vita, nell’ordinarietà di cui è intessuta senza farsela scivolare addosso,
senza maschere né fughe, evitando quel
galleggiare mortifero che scansa coinvolgimenti e fastidi.
E recuperare dalla preghiera quello
sguardo generante consapevolezza lucida e attenta, capace cioè di percepire e godere
con intensità quei sussulti di vita presenti in quel che viviamo, dagli sguardi
che posiamo sul creato alle relazioni che intessiamo con gli altri. Come la
prima volta, o come se fosse l’ultima.
Con timore e
tremore, con la coscienza simile a quella di mio figlio che osserva stupito e
grato quel dono che sta per
ricevere, come il fremito impaziente
carico di desiderio dell’innamorato che attende l’amata. E per quel tanto che si riceve il cuore è
gonfio di gioia e la preghiera è un ringraziamento pieno.