sabato 30 aprile 2016

La gioia piena



Quando ti senti così felice che ti sembra che il cuore stia per scoppiare, ti sembra quasi impossibile da sostenere una gioia così grande.

Mancano le parole e solo grandi aggettivi affiorano dalle labbra.



Le emozioni sconfinano e  sembra di non poterle e saperle esprimere. E a stento si trattengono lacrime.

Poi compaiono  momenti in cui questo senso di pienezza svanisce per lasciare spazio ad un senso di calma che rasenta un appiattimento da cui presto vogliamo uscire.



E’ allora che sprofondiamo  in quell’ordinarietà  che appare banale e poco attraente, perfino pare opprimere, prostrare.



Tocchiamo il cielo e subito dopo sprofondiamo negli abissi. Tutto può accadere in pochi istanti addirittura alcune volte nella stessa giornata: basta un nulla.

Siamo fatti in questo modo,  c’impegniamo a non cadere e a fatica stiamo in equilibrio.

Capita così di rimanere fissi, immobili per allontanare la paura  di crollare.



Così si balbetta una lode per ringraziare e una supplica.



A dirla tutta ancora non so bene cosa sia la preghiera, cosa voglia dire pregare.

Neppure son poi così sicuro di riuscire a pregare quando dico di pregare.

Avverto però, da sempre, il bisogno di silenzio; il desiderio di sgranare gli occhi e puntare lo sguardo  un po’ più in alto, oppure  di chiuderli per cercare di separarmi e poter  penetrare nel  più profondo di me.

Per trovarmi e trovare quella parte di me che è più e oltre me stesso, sino a cogliere l’impressione di trovarmi alla presenza di Dio.

Aldilà del mio percepire e accostarmi a Dio “rinchiuso” in un luogo di culto, mi pare sia l’aprirsi ad una partecipazione piena con la vita intera, un sentirmi in pace con ogni cosa (o così mi pare).

Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente è coperta di pietra e di sabbia: allora Dio è sepolto, allora bisogna dissotterrarlo di nuovo” (E.Hillesum)


Sembra a me che questa pace sia il sentirsi uniti a Dio.

E allora mi pare di comprendere che la preghiera non sia se non questo sentirsi, essere con Dio.

Sino a sprofondare, penetrare nella vita, nell’ordinarietà di cui è intessuta senza farsela scivolare addosso, senza maschere né fughe, evitando quel  galleggiare mortifero che scansa coinvolgimenti e fastidi.

E recuperare dalla preghiera quello sguardo generante consapevolezza lucida  e attenta, capace cioè di percepire e godere con intensità quei sussulti  di vita  presenti in quel che viviamo, dagli sguardi che posiamo sul creato alle relazioni che intessiamo con gli altri. Come la prima volta, o come se fosse l’ultima.

Con timore e tremore, con la coscienza simile a quella di mio figlio che osserva stupito e grato  quel dono che sta per ricevere,  come il fremito impaziente carico di desiderio dell’innamorato che attende l’amata.  E per quel tanto che si riceve il cuore è gonfio di gioia e la preghiera è un ringraziamento pieno.