sabato 25 maggio 2013

in direzione ostinata e contraria



Sui giornali i titoloni delle ultime settimane mostrano quasi la “novità” invocata in ogni occasione dal papa Francesco. L’invocazione che la Chiesa torni alla «freschezza delle origini», sia «orante e penitente» e sia «libera dall’idolatria del presente». Con queste invocazioni venerdì scorso papa Francesco ha salutato i vescovi italiani incontrati  al termine della loro assemblea generale, rendendo omaggio alla tomba dell’apostolo Pietro per rinnovare la loro «solenne professione di fede».
Con molta semplicità ha ricordato l’importanza dell’atto compiuto dai vescovi con la «professione di fede», riconducibile alle domande: «Chi siamo davanti a Dio?», «Lo amiamo davvero?».  La sua omelia è stata un richiamo ai compiti che ha un «Pastore» e ha avuto il suo punto centrale nel confidare «nella grazia e nella forza che viene dal Signore, malgrado le nostre debolezze».   Francesco ha ricordato «la responsabilità di camminare innanzi al gregge» e farlo «senza tentennamenti» per «rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora “non sono di questo ovile”». Perché la casa di Dio - ha sottolineato - «non conosce esclusione di persone o di popoli». «Per questo, essere Pastori - ha spiegato - vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza».   Di nuovo ha esortato vescovi e tutto il clero a non rincorrere la propria ambizione personale e a non usare il proprio status di chierico per ottenere benefici personali.
 Siamo alle prime lettere dell’alfabeto del Vangelo (“In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno.  Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare ''rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ''padre'' sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ''maestri'', perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato
". Mt. 23) eppure  ci vuole quasi un pronunciamento della cattedra di san Pietro per ricordarlo. E' vero che non guastano mai gli appelli, i segnali, gli ammonimenti perché a giudicare da quel che succede nella chiesa negli ultimi tempi parrebbe che non l’A b c ma l’intero vangelo si sia dimenticato,  seppellito dagli orpelli di duemila anni di gloriosa "cultura cattolica".  Sminuzzato e reso innocuo da strati secolari di teologie, diluito e tacitato da migliaia di pagine di dottrina, coperto da montagne  di pratiche devozionali e sacrocuorismi che nulla hanno a che vedere con le sue parole.  
Come se essere e dirsi cattolico non è chi si conforma al Vangelo ma chi ne riconosce i riti, le devozioni, la dottrina; e, anche qui, basta un'adesione formale, quella del dire e non quella del fare.
La Chiesa  non è ancora del tutto uscita dalla grave e penosa questione internazionale della pedofilia che, nel suo stesso cuore, in Vaticano, sono ancora aperte lotte intestine, vicende di malaffare e corruzione. Nulla di nuovo, vecchie piaghe mai curate e anzi tenute nascoste.

P.S. il funerale oggi di don Andrea Gallo e contemporaneamente la beatificazione di don Puglisi riportano  al centro della chiesa, tout court della fede, la questione dei poveri (quell’opzione preferenziale adombrata da oltre un ventennio) e dell’essere affamati e assetati  di giustizia.  La questione dell’autenticità e del coraggio, di libertà e onestà intellettuale, di prese di posizione nitide e di audacia e temerarietà. 
E allora mi rincuora constatare che non si possa tenere a lungo oscurata la saggezza e la profezia di saper ridere ancora in faccia al potere, anche ecclesiale,  per costruire spazi di verità e autenticità.   Mi rincuora il sapere che vi sono semi liberi e sparsi non riducibili a volontà omologanti. Mi rincuora sapere che alcuni viaggino sotto questo bel cielo in “direzione contraria e ostinata”.