Qualche giorno a Roma per
lavoro. Ospite presso una struttura dei monaci trappisti, presso l’abbazia
delle Tre Fontane. Accanto, a ridosso di una piccola collina chiamata
Betlemme, in mezzo agli Eucalipti, vive una piccola ma vivace comunità religiosa, la Fraternità delle
Piccole Sorelle di Gesù affascinate dall'ideale di Charles de Foucauld.
Un sito denso di storia
cristiana: qui l'apostolo Paolo viene martirizzato per decapitazione; il tribuno
Zenone e altri 10203 soldati cristiani, dopo aver terminato i lavori di
costruzione delle Terme imperiali, furono travolti dalla follia omicida delle
persecuzioni di Diocleziano; attraversando i tempi delle comunità monastiche
greche, arrivando a comunità benedettine cluniacensi, alla congregazione
cistercense...
Ho partecipato a un paio di
momenti delle loro preghiere, compieta e lodi.
Pregare... Mi sono
intrattenuto con un monaco il quale, nella sua dolce intonazione francese, mi
ha passato una bella, suggestiva immagine della preghiera: "Pregare è come
fare posto ad un tu senza il quale l'io non sarebbe...".
Ho ruminato questa frase,
l'ho trascinata in varie direzioni facendola cantare, piegandola in riflessioni
ardite.
Il concetto di preghiera
s'avvicina all'interpretazione. L'orante, l'oggetto e il tu cui si
rivolge la preghiera: ciascuno di questi tre elementi è soggetto di possibili
analisi interpretative (senza scomodare la semiologia e l'ermeneutica).
Credo che in tutte o quasi
le religioni e in ciascuna e diversa forma di preghiera vadano a mescolarsi le
più varie e ricche interpretazioni. Preghiera di lode e ringraziamento, di
offerta e d'esultanza, di guarigione, consolazione e di lutto, di lotta, e di
contemplazione, di ricerca e di liberazione, personale e comunitaria, di
meditazione e di ricerca, di benedizione, di domanda...
....e' quella di domanda la
preghiera che tiene il primato...
....pur sapendo che
l'ascolto è sempre relativo, soggetto a continua interpretazione.
"Pregare è come fare
posto ad un tu..."...
...non ci bastiamo, mi rendo
conto di non bastare a me stesso, non mi sono sufficiente.
Così la preghiera è quel
balbettio (di cuore, di labbra, di mente), che nasce nel momento in cui avverto
la mia non sufficienza, la mia debolezza. Cerco così di interloquire con
qualcosa/qualcuno facendogli spazio, permettendogli così d'entrare e d'esistere
nel mio mondo.
Pregare è quel cercare di
trovare risposta al bisogno più profondo, alla speranza più temeraria dell'esistenza.
E' cioè permettere all'io
più intimo e autentico di aprirsi sino a dilatarsi e fare spazio per
accogliere.
E' scavare sino ad espandere
quel pertugio attraverso il quale permettere il passaggio di voci e luci "rivelatrici",
portatrici di vita nuova.
"Pregare è come fare posto ad un tu..."...
...è un esercizio arduo,
poiché, lo sperimento, l'io che sono è così dispotico da chiudere ogni via
d'entrata...
...e non di rado
capita quindi che la preghiera, pur bella e vibrante tra le labbra, sia di compiacimento,
d'esaltazione e ammirazione: l'orante ha come oggetto se stesso. E' insieme
bisogno e appagamento, domanda e risposta insieme.
Il tu, quel soggetto cui si
rivolge la preghiera, a volte perde così consistenza sino ad evaporare in un
grande io.
Eppure: "Pregare
è come fare posto ad un tu..."...
....anche se quel tu a volte
sfugge, è poco conosciuto; oppure è persino misterioso, inaccessibile, lontano
o forse...inesistente...
Trovo così quasi
naturalmente opportuno, procedendo nelle mie riflessioni, accostare la
preghiera all’umiltà.
E' questa la
condizione di partenza: porta a riconoscere l'insufficienza di se', quella
fragilità strutturale, quel bisogno di aiuto; quell'ammettere d'essere un io
indissolubilmente aperto e legato al tu.
Se così è allora la
preghiera è espressione decisa contro ogni tentativo di assolutizzazione, è
quel segno che rinvia al di là di ogni dogmatica certezza.
E allora mi ritrovo a
pensare che pregare non è un magnificare un assoluto, ma è l'affermare un
relativo.
E' fare in modo che si
sappia la nostra fragilità e che quel tu chiamato dio si chini sino a
raccogliere la nostra voce.
E noi, sino ad ascoltare la sua.