lunedì 22 luglio 2013

pregare è come fare posto ad un tu


Qualche giorno a Roma per lavoro. Ospite presso una struttura dei monaci trappisti, presso l’abbazia delle Tre Fontane. Accanto, a ridosso di una piccola collina chiamata Betlemme, in mezzo agli Eucalipti, vive una piccola ma vivace comunità religiosa, la Fraternità  delle Piccole Sorelle di Gesù affascinate dall'ideale di Charles de Foucauld.
 
Un sito denso di storia cristiana: qui l'apostolo Paolo viene martirizzato per decapitazione; il tribuno Zenone e altri 10203 soldati cristiani, dopo aver terminato i lavori di costruzione delle Terme imperiali, furono travolti dalla follia omicida delle persecuzioni di Diocleziano; attraversando i tempi delle comunità monastiche greche, arrivando a comunità benedettine cluniacensi, alla congregazione cistercense...

Ho partecipato a un paio di momenti delle loro preghiere, compieta e lodi. 

Pregare...  Mi sono intrattenuto con un monaco il quale, nella sua dolce intonazione francese, mi ha passato una bella, suggestiva immagine della preghiera: "Pregare è come fare posto ad un tu senza il quale l'io non sarebbe...".

Ho ruminato questa frase, l'ho trascinata in varie direzioni facendola cantare, piegandola in riflessioni ardite.

Il concetto di preghiera s'avvicina all'interpretazione.  L'orante, l'oggetto e il tu cui si rivolge la preghiera: ciascuno di questi tre elementi è soggetto di possibili analisi interpretative (senza scomodare la semiologia e l'ermeneutica).

Credo che in tutte o quasi le religioni e in ciascuna e diversa forma di preghiera vadano a mescolarsi le più varie e ricche interpretazioni. Preghiera di lode e ringraziamento, di offerta e d'esultanza, di guarigione, consolazione e di lutto, di lotta, e di contemplazione, di ricerca e di liberazione, personale e comunitaria, di meditazione e di ricerca, di benedizione, di domanda...

....e' quella di domanda la preghiera che tiene il primato...

....pur sapendo che l'ascolto è sempre relativo, soggetto a continua interpretazione.

"Pregare è come fare posto ad un tu..."...
...non ci bastiamo, mi rendo conto di non bastare a me stesso, non mi sono sufficiente.
Così la preghiera è quel balbettio (di cuore, di labbra, di mente), che nasce nel momento in cui avverto la mia non sufficienza, la mia debolezza.  Cerco così di interloquire con qualcosa/qualcuno facendogli spazio, permettendogli così d'entrare e d'esistere nel mio mondo.
Pregare è quel cercare di trovare risposta al bisogno più profondo, alla speranza più temeraria dell'esistenza.
E' cioè permettere all'io più intimo e autentico di aprirsi sino a dilatarsi e fare spazio per accogliere.
E' scavare sino ad espandere quel pertugio attraverso il quale permettere il passaggio di voci e luci "rivelatrici", portatrici di vita nuova.

"Pregare è come fare posto ad un tu..."...
 ...è un esercizio arduo, poiché, lo sperimento, l'io che sono è così dispotico da chiudere ogni via d'entrata...
 ...e non di rado capita quindi che la preghiera, pur bella e vibrante tra le labbra, sia di compiacimento, d'esaltazione e ammirazione: l'orante ha come oggetto se stesso. E' insieme bisogno e appagamento, domanda e risposta insieme.
Il tu, quel soggetto cui si rivolge la preghiera, a volte perde così consistenza sino ad evaporare in un grande io.

Eppure:  "Pregare è come fare posto ad un tu..."...
....anche se quel tu a volte sfugge, è poco conosciuto; oppure è persino misterioso, inaccessibile, lontano o forse...inesistente...

Trovo così quasi naturalmente opportuno, procedendo nelle mie riflessioni, accostare la preghiera all’umiltà.

E' questa  la condizione di partenza: porta a riconoscere l'insufficienza di se', quella fragilità strutturale, quel bisogno di aiuto; quell'ammettere d'essere un io indissolubilmente aperto e legato al tu.  

Se così è allora la preghiera è espressione decisa contro ogni tentativo di assolutizzazione,  è quel segno che rinvia al di là di ogni dogmatica certezza. 
E allora mi ritrovo a pensare che pregare non è un magnificare un assoluto, ma è l'affermare un relativo. 

E' fare in modo che si sappia la nostra fragilità e che quel tu chiamato dio si chini sino a raccogliere la nostra voce.  
E noi, sino ad ascoltare la sua.
 















martedì 2 luglio 2013

canta e cammina

Ho percorso in auto un tratto della strada francigena per arrivare al mio buen retiro.  Un paio di uomini, zaino in spalla e sacco a pelo mi hanno catturato lo sguardo, riaccendendo il ricordo di vagabondaggi giovanili. 

Gli ingredienti per mettersi in cammino sono vari: coraggio mescolato ad incoscienza, senso dell'avventura, inquietudine...

Così si procede su strade poco battute, ci si attarda con lo sguardo a scrutare nuovi paesaggi. Si spera in un tempo clemente. Ci si ìnoltra per vie impervie, affidandosi a segnaletiche dubbie. Si superano ostacoli, il cuore si dilata e si vive un tempo intriso di precarietà.

La sosta è in ripari di fortuna, o alla meglio in dormitori attrezzati e poi, ritemprati, si affronta di nuovo il viaggio. 

Sulla strada. 
Non si è semplici nomadi senza mete, senza qualcuno che attende. Sulla strada si è spinti, chiamati sino a cogliere ad ogni passo la consapevolezza di esseri inquieti.

Desiderosi d’oltre e d’a(A)ltro, dal cuore insaziabile, dallo sguardo in perenne ricerca d’orizzonti nuovi da scrutare, indaffarati a lenire nostalgie d’assoluto.

Da sempre, pellegrini e vagabondi hanno percorso sotto lo stesso cielo strade aperte all’incontro con se stessi, con la trascendenza, con altri erranti. Esseri inquieti hanno cercato; e come non considerare il cercare una categoria dello spirito? L’uomo sazio, tronfio di se' ritiene di avere già tutto…anche Dio.  

 Il viaggio come ricerca è una nobile espressione di un cammino spirituale, di un percorso che parte da una lucida e profonda insoddisfazione di se’  e apre alla possibilità di un’esistenza più piena, più autentica, più sensata. Certo più rischiosa, più incerta e insicura. Ricerca della verità, ricerca d'assoluto, ricerca di felicità,...

Si sta allentando quella tensione che porta la nostra gioventù ad intraprendere viaggi alla scoperta di se’, pellegrinaggi su strade della sorgente di vita, viaggi d’iniziazione umana (cristiana, spirituale).

C’è un indebolirsi della figura di Siddartha, le nostre fibre si sono arrese alla mediocrità di viaggi  super organizzati, cellulari satellitari e iPhone, infarciti di spiritualità usa e getta propinata da sacerdoti e teologi à la page e azzimati.

Quell’On the road di Kerouac rimane opera letteraria emblematica d’una generazione ormai sepolta.   

Eppure il rinnovarsi del nostro tempo avviene ancora attraverso il cammino, fatto a piedi, gravido d’avventure e incontri imprevisti, generante audacia e speranza, ravvivante la fiducia nell’uomo. 

On the road, a piedi, in autobus, in autostop; permette d’osservare, ascoltare, scoprire, sostare, conoscere, contemplare.

Tra le pagine dei Vangeli scopriamo che Gesù vive prevalentemente on the road, si fa compagno di strada,  addirittura identificandosi con la strada (“..io sono la via..”  Gv.14, 1-6) e dopo di lui e prima di lui donne e uomini inquieti e curiosi, dal cuore insoddisfatto eppure pieno di domande, si sono incamminati sotto questo cielo incontro al destino del viaggio indossando calzari e tuniche comode, bisacce leggere.  

 Da Occidente ad Oriente il cammino come ricerca, il pellegrinaggio, si esprime come l’attraversamento, nel tempo e nello spazio, verso le mete intraviste come patria del cuore, come viaggio verso il centro dell’esistenza, al proprio cuore, luogo dell’incontro per eccellenza.

Come sanno i viandanti sotto questo cielo, come è scritto nelle pagine dei Racconti di un pellegrino russo in semplicità, in povertà, in sobrietà s’impara che la vita (anche la vita cristiana) è dinamismo e slancio continuo, facendo posto all’imprevisto, all’incognita, all’estraneo, al diverso. 
Mettendo in conto l'abbandono di categorie recanti assolute certezze, dogmi inossidabili.

E poi…s’impara a cantare: “Canta come cantano i viandanti, senza però interrompere il cammino. Canta per consolarti nella fatica ma non fermarti ai bordi della strada: canta e cammina…canta con la voce, canta con il cuore, canta con la bocca, canta con la tua vita. Sii tu quel canto che vuoi cantare: se la tua vita è nuova , tu sarai il canto di Dio” (Agostino, Serm. 256).