L’ultimo fine settimana l’ho trascorso nel mio buen retiro. Mi concedo queste gioie. Giocando con la
terra, oziando sotto gli alberi, facendomi accarezzare dal sole, sudare e
rimanere come un primitivo seminudo a camminare sul prato e odorare l’erba
appena tagliata.
Come un lupo solitario mi lascio cullare dal silenzio, dal
vento che sussurra tra le fronde degli alberi, dal cinguettio degli uccelli di
questa garzaia che ne raccoglie innumerevoli specie.
Allungo lo sguardo fino alla cima del pino e intravedo, via
via più distinto, un uccello. Il ramo appena piegato sotto le sue zampe, la
testa dritta nell’aria come fosse una sentinella vigile e attenta. Pare scrutare
lontano, immobile e assorto nel suo vivere. Non lo distraggono la mia presenza
e il mio fischio. Ogni momento pare creato apposta per il suo sguardo che
sembra posarsi oltre, che lontano scruta e cerca.
La punta del verde pino dondola appena alla leggera brezza sotto
un sole splendente e quell’uccello si lascia cullare e pare provare piacere,
trovando questo ondeggiamento conciliante alla sua sosta, o forse semplicemente
accogliendolo come un dono.
E mi fa meditare, questo piccolo uccello dal portamento fiero
e nobile, che forse ogni tanto nel nostro quotidiano dovremmo anche noi essere capaci di soste e dall’alto contemplare, lasciare che il vento ci accarezzi le piume e
non lasciarci distrarre, ma cercare lontano, oltre, più in là.
Gettare lo sguardo più libero e meno preoccupato alla
nostra vita.
Lasciarci penetrare dall’aria fresca, respirare e gustare cielo e
bellezza, godere della gratuità del momento presente e sentirsi parte di un
tutt’uno.
Scrutare oltre le nostre preoccupazioni, i nostri impegni,
le nostre fatiche insieme ai nostri dolori.
E posare lo sguardo dove troviamo, come intima pace, vita vera quella che non
ci chiede d’essere efficienti, più bravi, più presenti, più preparati, più
capaci, più rispondenti alle attese del direttore generale, della produzione,
della moglie o del marito, del figlio,….ma quella che ci chiede semplicemente
di lasciarla scorrere nelle nostre vene, nei nostri occhi, nel nostro cuore.
Di sentirla e accoglierla come un brivido che ci prende all’improvviso.
Come un refolo di vento che passa sulla pelle sudata.
E quando planeremo verso il basso terremo, stanchi e provati
dai mille voli, lo sguardo pulito e le
mani sicure e il cuore calmo perché avremo sperimentato (e, ne sono certo, questo pensiero lo
culleremo nel nostro intimo), che la vita non ci abbandona e non ci lascia
cadere.
Solo ci chiede fiducia e abbandono.