Daniele che cosa rimarrà quando anche lui se ne sarà andato?
Cosa rimarrà di me? E
di noi e della sua memoria?
E della sua
sofferenza e del mio dolore? Delle nostre pene?
Cosa rimarrà di noi dopo che anche le ultime luci saranno
spente?
E sarà solo il buio intorno e null’altro?
Cosa resterà Daniele di tutto il patire subito di giorni e
notti a tormentarsi chiedendo un segno, cercando pietà e ascolto?
Scacciando paure, allontanando angosce, fuggendo solitudini.
Rifiutando un assurdo nulla, una fine desolata.
Cosa rimane del pianto sino a prosciugare anche l’ultima
lacrima, a sfinire l’esile abbraccio?
Forse il ricordo, la memoria di ciò che è stato.
Forse il suo odore trattenuto nelle narici.
Il suo sbiascicare sconnesse parole,
ultimi sussulti di vita.
Sino all’urlo che ha squarciato il cielo
raggelando il sangue.
Cosa rimarrà se non l’aver vissuto, l’aver speso il tempo
per amare e godere e sognare e commuoversi sino a lasciarsi andare. Sfamare e
dissetare. Spezzare il pane. Confortare.
Prendersi a cuore l’umanità ferita.
Scommettendo.
Scommettendo su una parola vera.
Sino a lasciar andare chi amiamo e abbiamo amato.
Accompagnandolo sin dove è possibile là dove ci precede e
forse ci attende.
Daniele cosa rimarrà se non un’infinitesima anche fioca
speranza di vita?
Cosa rimane altro se non trovare un abbraccio che sorregga
questo passo incerto?
Cosa rimane altro se non lasciarsi andare in una stretta tra
un’umanità fragile e pure ancora fiduciosa con lo sguardo aperto oltre il vuoto
d’una tomba?