venerdì 29 marzo 2013

Oltre il vuoto d'una tomba



Daniele che cosa rimarrà quando anche lui se ne sarà andato?

 Cosa rimarrà di me? E di noi e della sua memoria?

 E della sua sofferenza e del mio dolore? Delle nostre pene?

Cosa rimarrà di noi dopo che anche le ultime luci saranno spente?

E sarà solo il buio intorno e null’altro?

Cosa resterà Daniele di tutto il patire subito di giorni e notti a tormentarsi chiedendo un segno, cercando pietà e ascolto? 

Scacciando paure, allontanando angosce, fuggendo solitudini.

Rifiutando un assurdo nulla, una fine desolata.

Cosa rimane del pianto sino a prosciugare anche l’ultima lacrima, a sfinire l’esile abbraccio?
Forse il ricordo, la memoria di ciò che è stato.

Forse il suo odore trattenuto nelle narici.
Il suo sbiascicare sconnesse parole,
ultimi sussulti di vita.

Sino all’urlo che ha squarciato il cielo
raggelando il sangue.

Cosa rimarrà se non l’aver vissuto, l’aver speso il tempo per amare e godere e sognare e commuoversi sino a lasciarsi andare. Sfamare e dissetare. Spezzare il pane. Confortare.
Prendersi a cuore l’umanità ferita.

Scommettendo.
Scommettendo su una parola vera.

Sino a lasciar andare chi amiamo e abbiamo amato.
Accompagnandolo sin dove è possibile là dove ci precede e forse ci attende.

Daniele cosa rimarrà se non un’infinitesima anche fioca speranza di vita?

Cosa rimane altro se non trovare un abbraccio che sorregga questo passo incerto?

Cosa rimane altro se non lasciarsi andare in una stretta tra un’umanità fragile e pure ancora fiduciosa con lo sguardo aperto oltre il vuoto d’una tomba?

giovedì 14 marzo 2013

Francesco, papa





Bè ci siamo commossi ieri sera in piazza san Pietro e davanti alla televisione ad attendere l’habemus papam.


Francesco è il nome “nuovo” di un papa, Papa Francesco.

Già introdotto con questo nome si è presentato bene il cardinale argentino dal nome e dai cromosomi italiani.

Francesco è un nome impegnativo, pesante come un macigno e insieme leggero come una nuvola o una farfalla, ardito.

Evoca scelta evangelica radicale, un programma ridotto all’essenziale per ritornare al sine glossa nel presente di una fede acciaccata e rattrappita.

Sine glossa per sgombrare coltri di parole che offuscano la Parola.

Sine glossa, senza orpelli e trionfalismi, autocelebrazioni e autoreferenzialità.

Come la croce di metallo povero al collo di papa Francesco.
Non sontuoso collare d’oro.

Nuovo è l’utilizzo marcato come overture di vescovo di Roma.
Più volte così si è definito (per di più senza mai pronunciare la parola papa). La dimensione della chiesa locale, di una particolare e specifica diocesi è pietra miliare dell’essere papa.
Leggo in questo un’attenzione alla sfera ecumenica della missione che lo attende.

Ultimo ma non ultimo il fatto che papa Francesco abbia chiesto la benedizione del popolo prima di essere lui a benedire.

E’ un segno che reca un’idea di reciprocità, quasi riconoscimento e scambio alla base delle relazioni all’interno della chiesa.

Certo, sono pochi segni di un uomo, questo si venuto da lontano, fino “dalla fine del mondo”, sconosciuto.

I segni però raccontano qualcosa, esprimono una vita, narrano il cuore dove ama abitare.

Per ora attraverso questi segni, ricevuti come promesse, leggo una Chiesa, la mia Chiesa, che sa ancora accendere i cuori, che sa ancora sorprendere e spalancarci alla speranza.








mercoledì 6 marzo 2013

Le radici, i sogni, il seme



Le stampanti nuove per gli uffici le avevano consegnate un paio di mesi addietro.
Mancava l’installazione ai computer e il gioco era fatto.

Una voce calda e straniera mi contatta fissando l’arrivo del tecnico installatore. Avevamo concordato per telefono il giorno e l’ora.  

Così arriva, puntuale come un orologio svizzero, alle nove e trenta di un martedì di fine febbraio, carico di neve e vento.

Un uomo (sorridente e dalla carnagione olivastra, longilineo e dall'aspetto curato), entra nel mio ufficio presentandosi come tecnico delle stampanti. Era la sua la voce al telefono.

Rashid il suo nome. E’ veloce, scrupoloso. Risponde in modo pertinente alle mie domande; mi spiega in un buon italiano il funzionamento delle macchine.

Predispone le tre stampanti dei miei uffici in un paio d’ore (su di una ha perso più tempo perché ha avuto un intoppo col server di sistema). Alcune firme a lavoro ultimato su moduli in duplice copia.

Gli offro un caffè e scambiamo due chiacchiere.

Rashid è in Italia da oltre nove anni proveniente dal Pakistan. In possesso di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo.  Una laurea in ingegneria nel suo paese. Una moglie e un figlio  di quasi tre anni. Lavora per la ditta che vende, noleggia e manutende macchine per ufficio. La crisi anche nel suo lavoro incomincia a mordere e le preoccupazioni affiorano inevitabili.

Poi dal suo portafoglio estrae un articolo di giornale del novembre del 2012  una frase del presidente della repubblica Napolitano: “Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, una assurdità".

“…mia sorella vive in America…suo figlio è appena nato ed è già cittadino americano…di tutte le preoccupazioni e difficoltà che avverto c’è il dispiacere che mio figlio non sia italiano…perché in Italia è tutto così complicato e lento?...
….io qui ho messo le mie radici, i miei sogni e il mio seme…”.

Per qualche istante sono stato zitto.  Poi mi è salita da dentro la certezza “vedrai Rashid sono sicuro che anche in Italia cambierà…

… sì ne sono certo cambierà anche nel nostro Paese”..