giovedì 26 aprile 2012

"...per vivere, le religioni devono morire"

Padre Ernesto Balducci. Ho sempre associato il suo nome a quella genia di uomini che hanno saputo, con umiltà e determinazione, pagando spesso di persona, tracciare un cammino di libertà. Di pensiero e di azione. Non soggiacendo al "così fan tutti" o all'accomodante spirito d'obbedienza caro alla gerarchia ecclesiastica. Cerchia di uomini del calibro di don Mazzolari, don Milani, don Mazzi dell'Isolotto, padre Turoldo, Carlo Carretto, padre Franzoni, ...  Insomma una buona compagnia. Eppure... 
...Volgere lo sguardo al tempo andato non serve a far rivivere quel che è stato. Mitigare il bolsume e l'aridità presente, forse. Certo è che il ricordare può risvegliare dal torpore ecclesiale attuale, far rifiorire visioni, rincorrere sogni. Ricordare serve per non disperdere gemme preziose e abbandonarle all'oblio del tempo.
Appena ventanni fa nel giorno della liberazione moriva un piccolo grande uomo. Grande perchè si è fatto piccolo. Un profeta nell'anticipare il futuro, quel che è ora il nostro presente, nei temi e nei moti ora del tutto chiari.

Propongo una riflessione del teologo don Carlo Molari tratto dalla rivista  Confronti del 15 aprile scorso

"Una stagione spirituale non può tornare. Il ricordo però può rendere possibile lo sviluppo del cammino aperto da quella stagione. Per la generazione erede diventa un dovere, per impedire che una storia finisca e per valorizzare un'esistenza fedele. Fare memoria è rinnovare la fiducia e rendere possibile il futuro. Soprattutto quando una vita è troncata in modo drammatico, lascia speranze incompiute e progetti irrealizzati. Ci vogliono persone che raccolgano l'eredità lasciata. E tanto più impellente quanto più la vita troncata è stata profetica: ha anticipato il futuro e ha seminato sogni. Padre Ernesto Balducci ci ha consegnato i suoi progetti che non debbono essere traditi. Voglio ricordare tre momenti della sua profezia: la fine della Chiesa occidentale, il dialogo con le religioni e l'etica dell'uomo planetario. 
La svolta della religione cristiana 
Scriveva Balducci: «L'unica risposta all'altezza del tempo è, per le religioni, il recupero dell'intuizione originaria al di là dei simboli in cui ciascuna di esse si è espressa, al di là del linguaggio culturale in cui si è codificata... Quando i sentieri restano interrotti perché la cultura entra in dissoluzione, il compito di una religione è di reimmergersi in quella intuizione che la fece nascere e riproporla al di fuori di ogni condizionamento, in vista della totalità umana. Liberandosi da una simbologia che appartiene a un'altra età evolutiva, essa dovrà crearsi un nuovo linguaggio simbolico che abbia l'età dell'uomo e sia in grado di additare lo stesso orizzonte di pienezza. Insomma: per vivere, le religioni devono morire» (La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Edizioni cultura della pace, Fiesole 1991, pag. 134). Per il cristianesimo ricuperare l'intuizione originaria significa ritrovare l'evento da cui tutto è partito: Gesù crocifisso e risorto. Una fede «che integra in sé il fallimento come proprio modo di essere nel mondo... Non si dà vita morale che non integri in sé la prospettiva del fallimento» (pag. 141). Per la Chiesa «la modernità è come Ur, da cui Abramo dovette partire» (ivi). Ma per non attribuire a padre Balducci una concezione trascendente della fede, quasi che potesse vivere senza simbolismi e strutture, occorre leggere la chiara affermazione conclusiva: «La caduta nella modernità è un destino della fede profetica, così com'è suo destino uscirne fuori, se necessario col sangue. E non c'è caduta che non lasci sopravvivere l'inquieta protesta della profezia, così come non c'è profezia che non debba pagare il suo obolo alla cultura in cui si incarna» (pag. 144).

La fine di cui parla Balducci riguarda la Chiesa teocratica compromessa con il potere, in un passaggio verso forme nuove di compromessi con il potere. Non certo libera dalle strutture e dalle tentazioni del potere. Siamo in un passaggio non verso la liberazione, ma verso una diversa modalità di incarnazione e quindi di compromesso. Il rapporto tra fede e religione è ben posto: «La religione è l'universo simbolico in quanto è immanente a un sistema culturale, la fede è il trascendimento di quell'universo nelle zone silenziose in cui abita il polo assoluto che chiamiamo Dio. La religione scrive il nome di Dio, la fede lo cancella» (pag. 131). Padre Ernesto Balducci ha quindi vissuto il dramma che sorge quando l'istanza profetica entra in conflitto con l'esigenza di una conformità con la cultura (pag. 142). L'esigenza della conformità o meglio di una certa sintonia nasce dalla stessa incarnazione, il modello più comune per leggere l'evento centrale del cristianesimo. Ma anche l'istanza profetica nasce dall'incarnazione per la trascendenza della Parola che attraverso la carne si esprime. Non è possibile risolvere il dilemma in una sintesi, è solamente possibile vivere dialetticamente le due esigenze sottoponendosi all'esodo perenne della storia. 
Dialogo interreligioso 
Negli ultimi anni della sua vita padre Balducci era stato condotto a confrontarsi con le religioni. Era stato il tema della violenza e della pace a trascinarlo in questi temi squisitamente teologici, ma anche sociologici. Ricordo con quale partecipazione interiore mi presentò in un teatro di Firenze nel corso delle conferenze dell'Associazione culturale italiana nella quale trattavo il tema «Religioni e violenza». Questo tema è in pieno sviluppo oggi. Balducci si orienta verso il pluralismo (egli parla di «pluralità», pag. 127), ma non cede al relativismo di Hick. Ad esempio, è vero che egli scrive: «Non ci sono, dunque, religioni false. Ognuna di esse attinge alle risorse dell'uomo nascosto assumendo come centrale una sua possibilità e rendendola praticabile pur dentro i sentieri provvisori di una cultura» (pag. 135). Ma egli aveva già precisato: «L'unificazione tra le religioni non può avvenire, dunque, in forza di una sintesi razionale, che sarebbe come un loro imprigionamento nella mondanità, né in un sincretismo che metta insieme gli elementi comuni per lasciar deperire gli altri.
La pluralità è la condizione normale dell'universalità fino a che non avremo toccato la soglia dell'aldilà e cioè... fino a che non avremo esaurito il diametro della sfera evolutiva» (pag. 129). Mi ha colpito a questo proposito una frase della lettera inviata da Panikkar a Balducci in occasione della sua scomparsa. Mi sembra che Panikkar rimproverasse a Balducci un'eccessiva pretesa razionale nel dialogo interreligioso. «Si realizzò l'incontro di due esseri uniti nel Cristo inedito, che tu volevi comunque "rendere edito", mentre per me andava bene così». D'altra parte Panikkar rimproverava l'eccessiva fiducia razionale dell'occidentale: «L'ultima volta che ci vedemmo, a Città di Castello, penso che tu sorridessi come Machiavelli nell'ascoltare le utopie del Savonarola. Eri molto d'accordo con i miei "sogni idealisti", ma non ci potevi credere. Ormai sono gli occidentali ad essere diventati fatalisti dinanzi all'impatto del potere della scienza moderna e della tecnologia. Tu mi abbracciavi fisicamente e psicologicamente: c'era un posto anche per me nell'uomo planetario — anche se io mi rifiutavo di essere un'entità soltanto storica e quindi intelligibile unicamente da un punto di vista evoluzionistico — magari alla Teilhard». 
L'etica dell'uomo planetario 
Padre Ernesto Balducci aveva il presentimento che stava per nascere l'uomo vero («Che non stia per cominciare la storia dell'uomo veramente uomo?», ivi, pag. 12). Ma anche che ad essa dovesse corrispondere un'etica nuova. In questo l'etica cristiana si presentava passibile di rinnovamenti perché l'etica cristiana non consiste in una serie di comandamenti, bensì nella sequela di una persona. Paolo poteva dire ai Romani: «Trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che cosa Dio vuole da voi, cos'è buono, a Lui gradito eperfetto» (Rom 12,2). È questa novità che affascinava Balducci. Come credente egli sapeva che il nuovo è sempre alle porte perché la fonte è inesauribile. Ma, come profondo conoscitore della storia, egli sapeva che l'uomo può impedire il fiorire del nuovo, che anzi la paura lo porta a serrarsi nel suo presente.
Per questo egli chiedeva di reinventare Gesù (La fede dalla fede, Cittadella Assisi 1975, pag. 60). È questa preoccupazione che dobbiamo raccogliere e fare nostra per non dovere sentire dal profondo della nostra pigrizia il lamento di Dio nel profeta Isaia: «Faccio sbocciare una cosa nuova, non v'accorgete?». È un nuovo che richiedecoinvolgimento, decisione, superamento di egoismi. È un inedito, che deve essere inventato. Raccogliere la sua eredità significa anche sviluppare la sua passione, la passione del coinvolgimento nella storia. Prima di tutto la passione del pensiero. Alcune sue opere sono rimaste indicazione di un cammino. Poi la coerenza dell'azione. Aveva la consapevolezza della funzione ecclesiale. Rispondeva ad ogni invito anche nelle piccole comunità, convinto di dover sostenere il cammino di fede di tutti. Avvertiva il peso della testimonianza. Il titolo che aveva dato alla rivista da lui fondata (Testimonianze) esprimeva molto bene l'impostazione della sua vita. Una profezia, la sua, capace di suscitare ancora testimonianze".

giovedì 12 aprile 2012

un posto per tutti

Due le circostanze che nel giro di una decina di giorni mi pare scandiscano  l'arrancamento della Chiesa nel tenere il passo nel tempo presente. Certo non per essere alla moda, ma per voler camminare con l'umanità in quella reale salita al Golgota col barlume di speranza di resurrezione.
1) C’è la notizia di quel sacerdote della diocesi di Ferrara che pare abbia negato ad un bambino, afflitto da un grave disagio mentale, l'accesso alla prima comunione perché «incapace di intuire la portata del sacramento».
2) Il 2 Aprile è stata la giornata Mondiale di sensibilizzazione sull'autismo promossa dall'ONU. Per l'occasione il Vaticano, per voce del presidente del pontificio consiglio per gli operatori sanitari, ha prodotto uncomunicato, un appello alla "vicinanza" ai soggetti autistici e alle loro famiglie.
A tal proposito  riporto una lettera scritta da una famiglia alle prese con un piccolo figlio “autistico”.

Siamo Cinzia e Luigi, genitori di M., D. e .S. di  10, 8 e 4 anni. Viviamo in un piccolo comune della bassa Brianza che fa parte della Comunità Pastorale “Regina degli Apostoli”, alla quale, per come possiamo, cerchiamo di offrire la nostra collaborazione per quello che serve.   Il 2 Aprile siamo stati  indirettamente destinatari, così come molte altre famiglie in tutto il mondo di un messaggio del Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, S.E.R. Arcivescovo Zygmunt Zimowski. Si tratta dell’”Appello alla sensibilità e alla vicinanza solidale alle persone autistiche e alle loro famiglie” emesso in occasione della giornata mondiale di sensibilizzazione sull’Autismo, promossa dall’ONU (World Autism Awareness Day).   Di fatto siamo “l’oggetto” dell’appello emesso dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari”, in quanto l’Autismo ha colpito D., il nostro secondo figlio.  D. è colpito da una forma grave di autismo, definito clinicamente a basso funzionamento, che, oltre al resto, compromette anche le capacità verbali.    Non sapendo come far pervenire  direttamente all’arcivescovo Zimowski una nostra risposta, abbiamo deciso di inviarla a tutti coloro con cui siamo in contatto a livello istituzionale all’interno della nostra diocesi a partire dal nostro parroco, con la speranza che si inneschi una catena di inoltri che infine raggiungano il destinatario.  Non è nostra intenzione elencare i problemi che la presenza pervasiva dell’Autismo comporta per D. e per la nostra vita, non serve; non solo questi sono riassunti nel testo  dell’appello che riportiamo in calce, ma non possono essere compresi a pieno se non facendone un’esperienza diretta.  Leggendo l’appello dell’Arcivescovo Zimowski emerge la “profonda sofferenza” in cui versano le persone colpite da autismo e le loro famiglie e di come la Chiesa sull’ esempio della parabola evangelica del “Buon Samaritano”, cerchi farsi “Compagna di strada”.     D’altra parte le più recenti indagini del Censis  mostrano come  in Italia:
·        la metà delle madri di persone con autismo ha dovuto lasciare il lavoro o ridurlo (quando non hanno potuto neppure iniziarlo).
·        In più della metà delle famiglie in cui è presente un figlio con autismo si assiste a fenomeni di rottura del legame fra i genitori con forme di separazione e divorzio (il più delle volte se ne vanno i padri) 
·        per ottenere la diagnosi occorrono da 1 a 3 anni
·        oltre il 30% degli adolescenti e adulti non riceve nessun intervento;
·        nel 20% dei casi le famiglie inseguono ipotesi di trattamento inutili, dannosi e spesso molto costosi
·        L’assistenza rimane nella grande maggioranza  dei casi un onere esclusivo della famiglia con un impatto rilevante non solo sulla qualità della vita, ma
                       anche sui progetti, le scelte, l’inclusione e la partecipazione delle persone con  
                       autismo a lungo termine .
Le 781 parole dell’appello del cardinale suonano rassicuranti e confortanti: frasi come “…la chiesa intende esprimere la propria vicinanza…” oppure “… la chiesa avverte impellente il compito di porsi accanto a queste persone…”, esprimono sicuramente atteggiamenti  positivi.  Non solo atteggiamenti ma anche fatti concreti come la possibilità di accedere a percorsi terapeutici grazie a un progetto reso possibile dai finanziamenti erogati dalla Caritas   Ambrosiana (ancora per due anni, poi si vedrà) con i fondi 8x1000 della  Chiesa Cattolica (per informazioni www.cascinasanvincenzo.org).  Di questo non possiamo che esserne grati a tutti coloro, persone e istituzioni che lo hanno reso possibile.  La nostra ferma convinzione del fatto che “la Chiesa siamo noi” nel senso che non esiste distinzione fra chi “sta vicino” e fra chi “avverte la vicinanza” e che la solidarietà deriva dalla consapevolezza della fratellanza che ci  unisce nella sequela di Cristo (…siamo o non siamo tutti sulla stessa barca?), vorremmo testimoniare che l’Autismo con tutti i problemi che ne derivano, non è portatore esclusivamente di disgrazie!  Intendiamoci bene, non è facile avere a che fare con l’autismo e tantomeno augureremmo un’esperienza del genere a chiunque.
Non abbiamo scelto noi l’autismo e se avessimo la possibilità di far sparire dalla nostravita i problemi che ne derivano, lo faremmo volentieri, però questo, al momento non è possibile.  La qualità della vita (e vorremmo dire la “verità sulla nostra vita”) dipende da come noi  affrontiamo gli “intoppi” che troviamo sul cammino (..non è stato così anche per la Chiesa delle origini? Non è capitato così anche a Pietro che mentre andava a pregare “di nascosto” al tempio con Giovanni dopo la Pentecoste, è incappato nel paralitico che poi ha guarito?  - At.3, 1-26 – Pietro ha dovuto gestire un “intoppo” al suo programma dellagiornata...cosa sarebbe successo se Pietro non si fosse fermato e non avesse guarito il paralitico? Spesso gli “intoppi” della vita mettono in luce o ci obbligano a considerare le cose come stanno nella realtà (idee, convinzioni, credenze, valori…). Dalle risposte che noi diamo dipende la qualità della vita.  Nel corso di questi anni siamo molto cambiati “grazie” all’autismo di nostro figlio. Siamo partiti dal considerare, per via del nostro senso di onnipotenza, l’autismo come un nemico da abbattere fino ad arrivare oggi a dire: “Abbiamo fatto pace con l’Autismo”. Daniele con il suo autismo ci consente di “concretizzare” e “provare” i valori su cui poggia la nostra famiglia.  Il motto che in questi anni la nostra famiglia si è data è il seguente:  “Se vedi un bisogno, soddisfalo, trova una via oppure creala perché in mezzo ad ogni difficoltà c’è sempre l’inizio della sua soluzione”.  Questo ci ha permesso di vivere con serenità le difficoltà che comunque  ci sono e sono tante.
La nostra preghiera quotidiana recita: “Donaci  Signore l’Umiltà e la Sapienza per riconoscere il tuo disegno sulla nostra famiglia, donaci il coraggio per scegliere la tua volontà e non la nostra, donaci la forza per sostenere la scelta e donaci la pazienza quando le forze vengono meno, perché le forze vengono meno”.  Le esperienze non sono sempre rose e fiori: ci capita di avere a che fare con persone che chiedono ragione del comportamento alcune volte socialmente inadeguato di D., anche all’interno delle nostre comunità.   Come genitori siamo spesso in difficoltà nel trovare lerisposte più adatte alle circostanze. L’istinto ci farebbe rispondere  che D. si comporta in quel modo perché autistico mentre quale  dovrebbe essere la giustificazione alla maleducazione dei nostri   interlocutori!?   Poi invece ci fermiamo a riflettere e capiamo che se  queste persone non sono in grado di conoscere e capire l’autismo, come  possiamo pretendere che capiscano la natura della propria domanda e che  probabilmente qualche problema lo hanno pure loro!?  A pensarci bene,  come ha sottolineato un altro genitore, in questi casi, si potrebbe  rispondere che già “Qualcuno” ha avuto modo di dire: ”Se foste ciechi non avreste alcuna colpa; invece voi dite ‘noi vediamo’. Il vostro  peccato dunque rimane”.    Questo è tutto, volevamo solo testimoniare che  vivere con relativa serenità è possibile!, Questo è il nostro contributo alla Chiesa!  Un’ultima cosa, se mai queste righe potessero  raggiungere mons. Zimowski….Monsignore, per cortesia, dica ai suoi   collaboratori di informarsi meglio: L’autismo non è un “grave disturbo  psicologico” ma è una sindrome di natura neurobiologica; già ci pensiamo noi genitori a farci venire i sensi di colpa, ci manca solo  che qualcuno ci aiuti improvvidamente in questo. Infine un forte  richiamo ad un cambiamento di mentalità, a rendere concreto il  contenuto del suddetto appello.  Che la Pasqua porti davvero in noi  quel cambiamento di mentalità che auspichiamo! Altrimenti tutto si  traduce soltanto in riti magici.

Cristo è risorto…veramente!”


 Non disquisisco avanzando ragioni teologiche, canoniche e liturgiche.
Personalmente voglio considerare (ormai da parecchio tempo) la chiesa come quella realtà che incarna la dimensione affettiva, ospitale e cordiale, quella realtà che abbraccia come il padre e la madre di una famiglia. Una realtà che accoglie e perdona. Che libera e valorizza. Senza infingimenti, ambiguità e giudizi. Senza peloserie. Dove i sacramenti sono segni illuminanti la strada da percorrere non trabocchetti o peggio contratti capestro. Segni che aprono alla felicità/libertà già hic et nunc, per ciascuno e per tutti.  Penso sempre di più  ad una chiesa in cui ci può essere un posto per tutti e  ad una vita sacramentale  che non si misura sulla base del quoziente intellettivo ma nella fede nell'azione del Dio che salva comunque al di là di misurazioni neurologiche e valutazioni comportamentali, DSM 10 e  stime biopsichiche. 


lunedì 2 aprile 2012

ABBIAMO TRADITO IL VANGELO?

Spesso, da qualche anno in qua, le varie Conferenze Episcopali dei vari stati d'Europa, insistono su quelli che ormai vengono chiamati "valori non negoziabili". In altre parole valori fissati come indiscutibili ( la difesa dell'embrione umano, il no all'aborto, il rifiuto dell'eutanasia, la formazione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. In Italia si è aggiunto pure il diritto di scelta della scuola:pubblica/privata) L'adesione, magari anche solo formale (per molti credo anche per motivi di convenienze e tatticismi politici) a questi valori, è considerata imprescindibile per chi voglia dirsi cattolico.
Valori e principi sacrosanti, ma sono gli unici o ve ne sono altri magari con quelli connessi, per i quali oggi in modo particolare merita ed è doveroso battersi e progettare? Se una lista di valori "non negoziabili" la si vuole esporre siamo così sicuri che non tralasciamo altri valori altrettanto "non barattabili"? Magari altrettanto urgenti?

Propongo la riflessione di Alex  Zanotelli per "recuperare" come cristiani quei "valori" certamente "non barattabili" su cui poco cade la nostra attenzione.


LA DITTATURA DELLA FINANZA :  ABBIAMO TRADITO IL VANGELO?

"In questo  periodo quaresimale sento l’urgenza di condividere con voi una riflessione sulla ‘tempesta finanziaria’ che sta scuotendo l’Europa , rimettendo tutto in discussione: diritti, democrazia, lavoro….In più arricchendo sempre di più pochi a scapito dei molti impoveriti. Una tempesta che rivela finalmente il vero volto del nostro Sistema: la dittatura della finanza.
L’Europa come l’Italia è prigioniera di banche e banchieri. E’ il trionfo della finanza o meglio del Finanzcapitalismo come Luciano Gallino lo definisce: “Il finanzcapitalismo è una mega-macchina, che è stata sviluppata nel corso degli ultimi decenni, allo scopo di massimizzare  e accumulare sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia del maggior numero di esseri umani sia degli eco-sistemi.”
Estrarre valore è la parola chiave del Finanzcapitalismo che si contrappone al produrre valore del capitalismo industriale, che abbiamo conosciuto nel dopoguerra. E’ un cambiamento radicale del Sistema!
Il cuore del nuovo Sistema è il Denaro che produce Denaro e poi ancora Denaro. Un Sistema basato sull’azzardo morale, sull’irresponsabilità del capitale, sul debito che genera debito. E’ la cosiddetta “Finanza creativa”, con i suoi ‘pacchetti tossici’ dai nomi più strani (sub-prime, derivati, futuri, hedge-funds…) che hanno portato a questa immensa bolla speculativa che si aggira, secondo gli esperti, sul milione di miliardi di dollari! Mentre il PIL mondiale si  aggira sui sessantamila miliardi di dollari. Un abisso separa quei due mondi: il reale e lo speculativo. La finanza non corrisponde più all’economia reale. E’ la finanziarizzazione dell’economia.
Per di più le operazioni finanziarie sono ormai compiute non da esseri umani, ma da algoritmi, cioè da cervelloni elettronici che, nel giro di secondi, rispondono alle notizie dei mercati. Nel 2009 queste operazioni, che si concludono nel giro di pochi secondi, senza alcun rapporto con l’economia reale, sono aumentate del 60% del totale. L’import-export di beni e servizi nel mondo è stimato intorno ai 15.000 miliardi di dollari l’anno. Il mercato delle valute ha superato i 4.000 miliardi al giorno: circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell’economia reale. E’ come dire che oltre il 90% degli scambi valutari è pura speculazione.
Penso che tutto questo cozza radicalmente con la tradizione delle scritture ebraiche radicalizzate da Gesù di Nazareth. Un insegnamento, quello di Gesù, che, uno dei nostri migliori moralisti, don Enrico Chiavacci, nel suo volume Teologia morale e vita economica, riassume in due comandamenti, validi per ogni discepolo: ”Cerca di non arricchirti“ e “Se hai, hai per condividere.
Da questi due comandamenti, Chiavacci ricava due divieti etici: “divieto di ogni attività economica di tipo esclusivamente speculativo” come giocare in borsa con la variante della speculazione valutaria e ”divieto di contratto aleatorio”. Questo ultimo, Chiavacci lo spiega così: ”Ogni forma di azzardo e di rischio di una somma, con il solo scopo di vederla ritornare moltiplicata, senza che ciò implichi attività lavorativa, è pura ricerca di ricchezza ulteriore.” Ne consegue che la filiera del gioco, dal ‘gratta e vinci’ al casinò, è immorale.
Tutto questo, sostiene sempre Chiavacci, “cozza contro tutta la cultura occidentale che è basata sull’avere di più. Nella cultura occidentale la struttura economica è tale che la ricchezza genera ricchezza”.
Noi cristiani d’Occidente dobbiamo chiederci cosa ne abbiamo fatto di questo insegnamento di Gesù in campo economico-finanziario. Forse ha ragione il gesuita p. John Haughey quando afferma: ”Noi occidentali leggiamo il vangelo come se non avessimo soldi e usiamo i soldi come se non conoscessimo nulla del Vangelo.” Dobbiamo ammettere che come chiese abbiamo tradito il Vangelo, dimenticando la radicalità dell’insegnamento di Gesù: parole come ”Dio o Mammona,” o  il comando al ricco: ”Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri”.
In un contesto storico come il nostro, dove Mammona è diventato il dio-mercato, le chiese, eredi di una parola forte di Gesù, devono iniziare a proclamarla senza paura e senza sconti nelle assemblee liturgiche come sulla pubblica piazza.
L’attuale crisi finanziaria “ha rivelato comportamenti di egoismo, di cupidigia collettiva e di accaparramento di beni su grande scala-così afferma il recente Documento del Pontificio Consiglio di Giustizia  e Pace (Per una riforma del Sistema finanziario e monetario internazionale). Nessuno può rassegnarsi a vedere l’uomo vivere come  ‘homo homini lupus’”.
Per questo è necessario passare, da parte delle comunità cristiane, dalle parole ai fatti, alle scelte concrete, alla prassi quotidiana: ”Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che  fa la volontà del Padre mio” (Matteo, 7,21).
Come Chiese, dobbiamo prima di tutto chiedere perdono per aver tradito il messaggio di Gesù in campo economico-finanziario, partecipando a questa bolla speculativa finanziaria (il grande Casinò mondiale).
Ma pentirsi non è sufficiente, dobbiamo cambiare rotta, sia a livello istituzionale che personale.
A livello istituzionale (diocesi e parrocchie):
-promuovendo commissioni etiche per vigilare sulle operazioni bancarie;
-invitando tutti al dovere morale di pagare le tasse;
-ritirando i propri soldi da tutte le banche commerciali dedite a fare profitto sui mercati internazionali;
-investendo i propri soldi in attività di utilità sociale e ambientale, rifiutandosi di fare soldi con i soldi;
- collocando invece  i propri risparmi in cooperative locali o nelle banche di credito cooperativo;
-privilegiando la Banca Etica, le MAG (Mutue auto-gestione) o le cooperative finanziarie;
-rifiutando le donazioni che provengono da speculazioni finanziarie, soprattutto  sul cibo, come ha detto recentemente Benedetto XVI nel suo discorso alla FAO.
A livello personale ogni cristiano ha il dovere morale di controllare:
-in quale banca ha depositato i propri risparmi;
-se è una” banca armata”, cioè investe soldi in armi;
-se partecipa al grande casinò della speculazione finanziaria;
-se ha filiali in qualche paradiso fiscale;
-se ottiene i profitti da ‘derivati’ o altri ‘pacchetti tossici’.
“Le banche, che dopo aver distrutto la nostra economia, sono tornate a fare affari - scrive il pastore americano Jim Wallis - devono ricevere un chiaro messaggio che noi troviamo la loro condotta inaccettabile. Rimuovere i  nostri soldi può fare loro capire quel messaggio.”
Ha ragione don Enrico Chiavacci ad affermare: ”Questa logica dell’avere di più e della massimizzazione del profitto si mantiene attraverso le mille piccole scelte, frutto di un deliberato condizionamento. Le grandi modificazioni strutturali, assolutamente necessarie, non potranno mai nascere dal nulla: occorre una rivoluzione culturale capillare. Se è vero che l’annuncio cristiano portò all’abolizione della schiavitù, non si vede perché lo stesso annuncio non possa portare a una paragonabile modificazione di mentalità e quindi di strutture. Il dovere di testimonianza, per chi è in grado di sfuggire a una presa totale del condizionamento, è urgente.”
 
                                                   Buona Pasqua di Risurrezione a tutti!