Recupero da scatoloni, ancora zeppi di
fogli e quaderni, brandelli del mio passato.
Alcuni mantengono ancora la loro
vitalità, una loro ragione anche a distanza di tempo.
Non sono testi profetici ma righe
sofferte e pagine di passioni. Le mie
di una vita.
Ottobre 1994.
Parroco in una chiesa di una diocesi
limitrofa a quella di Milano; per alcuni anni diverse volte al mese veniva a
cena da me. Le conversazioni erano ricche e stimolanti.
Pochi anni fa ha chiesto e ottenuto di
seguire e vivere in una comunità di famiglie aperte all’accoglienza.
Un
mio amico prete, uno di quelli che non smentisce la sua tonaca da tanti anni
portata con amore e onore, mi fa il pregio di frequentare la mia casa
puntualmente, onorando il pranzo non luculliano, ma buono e, così lui dice,
“ben curato e piacevole anche agli occhi”.
“Vedi”
inizia lui “la chiesa dovrebbe avere il sapore di casa tua; una benevolenza
fraterna, una condivisione essenziale, un’amicizia robusta e virile…e come il
vino che non dovrebbe mai mancare, sincero e abbondante.
Non
son più tanto giovane e mi trovo con un sacco di cose che certo come sacerdote
faccio, ma, come spiegarti…non sono tipiche del mio ministero. Non mi son fatto prete, non sono stato
chiamato per contare i soldi, per star dietro ai muratori che ripristinano la
casa parrocchiale, per provvedere alla manutenzione del tetto della chiesa, per
organizzare il pullman per la gita dei giovani, per tenere aperto il bar
dell’oratorio… neppure capisco chi fa a gara per accaparrarsi un posto in
curia… Certo son cose che faccio, alcune anche più volentieri di altre ma, ti
ripeto, tutte queste cose non sono lo specifico del mio sacerdozio.
Devo
preparare bene la liturgia, prepararmi bene nell’omiletica, formare ed educare,
portare conforto a chi è malato, dare i sacramenti del battesimo, del
matrimonio, della riconciliazione, visitare chi ha problemi in famiglia…far
sentire la presenza premurosa e amica di un servo del signore alle donne e agli
uomini che soffrono sempre più di rapporti autentici; portare una parola e uno
sguardo benevolo…affezionare con una presenza vigile e insieme forte e discreta
i giovani al Signore…
Si
come prete avevo deciso di appassionarmi all’uomo in Cristo….tante volte mi
sembra d’essere più un burocrate, un
impiegato che tira a campare…certo amo la Chiesa e per grazia di Dio non la lascerei per
nulla al mondo.
Ma
pure mi riscopro a vent’anni dal mio sacerdozio, attratto da una concezione di
chiesa che ricalchi la dimensione e lo spirito familiare…dove vi sia calore,
gioia, partecipazione, condivisione, un guardarsi negli occhi con verità e
sincerità…dove certo non mancano problemi e incazzature gridate…Viceversa ho
sempre più in uggia una chiesa lontana, presente solo per sentenziare giudizi e
dare norme morali ma staccata dagli uomini, dalle vicissitudini che li
sorprendono…
Sono
un privilegiato ho tutto ma ….un sorriso
può non essere gratuito poiché è bene non dire tutto ciò che si pensa o
si vorrebbe dire; dove può celarsi la falsità e l’ipocrisia; dove un prete,
rimanendo pur anche in grazia di Dio difficilmente può trovare il calore d’un
abbraccio fraterno tra i suoi confratelli.
Monade
tra le monadi e solo, lasciato in una solitudine che spesso s’affaccia e sembra
soffocarti…ognuno a smazzarsela, pur legittimamente, come meglio crede o può. Tenendo duro, a volte arrampicandosi
sui vetri per non mollare, per non perdere il filo della sua storia che lo lega
al Signore…sacerdos in aeternum…
No
non è questione solo di curia o di vescovo, di una diocesi sempre più depressa
o altro…E’ questione più complessa…è come lo sbiadire, l’allentarsi anche di
una fede di chiesa nel suo Signore servo per amore e fedele all’uomo dentro una
compagnia di uomini”.