Che strane cose accadono sotto
questo cielo sempre grigio di una politica stagnante e ridotta a poca cosa, a
miserie umane e starnazzamenti da cortile.
Che strane cose le frattaglie
politiche che si dicono “pudicamente” laiche in nome di un brodino dove vi
possono stare tutte le cose tranne quelle che fanno le differenze. Non si può
citare la Bibbia
(“quando non ci sono più visioni il popolo muore” Prov.29-18), è blasfemia
ricorrere a don Milani; riferirsi a Maritain o a don Mazzolari è roba da
giurassici, parlare di dottrina sociale della chiesa o accennare a Mounier a La Pira, a Lazzati, Bobbio,…si è
troppo di parte…
E’ l’ora, in un tempo troppo
dilatato, di un fare disancorato da radici culturali, apparentemente scevro da
riferimenti e matrici di parte.
Non si tratta di rifarsi ad
utopie, rispolverando bandiere e slogan e maître à penser
già noti.
E’ invece urgente andare con la
memoria a ritrovare quello spazio e desiderio e sincerità di cuore per rifarsi
a quel realismo grazie al quale di nuovo calarsi nell’ordinario volendolo
rendere pienamente, umanamente vivibile.
Essere presenti nella storia
sporcandosi le mani e scegliendo da che parte stare, avendo caro il chi si è
creduto e a chi si è dato credito confidando nella testimonianza di vita e nella nobiltà di pensiero.
Come diceva Carrel nel suo Riflessioni sulla condotta della vita: “Ci
siamo confinati nelle astrazioni anziché andare incontro alla realtà concreta.
Certo, è difficile cogliere la realtà concreta e il nostro spirito sceglie il
minimo sforzo. Forse la pigrizia naturale dell’uomo gli suggerisce la
semplicità dell’astratto anzichè la complessità del concreto. E’ meno arduo
salmodiare formule o sonnecchiare sui principi che cercare laboriosamente come
sono fatte le cose e quale sia il metodo per servirsene. Osservare è meno facile che ragionare.
E’ risaputo che scarse
osservazioni e molti ragionamenti sono causa d’errore. Molta osservazione e
poco ragionamento conducono alla verità. Ma sono assai più gli spiriti capaci
di costruire un sillogismo che quelli che sanno cogliere esattamente il concreto”.
Realismo è per esempio accorgersi
che la logica del potere tende a perpetuare lo status quo al di là delle
immagini diverse, delle maschere che il potere si dà e indossa. Persino nella
maschera di chi si presenta come il puro servitore disinteressato e come
l’incontaminato modello di politico.
Finanche nel volto dei devoti
ingenui che imprecano contro la mala politica: il potere tende a perpetuarsi.
Realismo è domandarsi in verità fino
a che punto si è disposti a darsi, fin dove spingersi per perdersi donandosi alla politica, al servizio, agli altri.
Realismo è interrogarsi in verità
fino a che punto si è disposti a rinunciare: ai propri interessi, alle proprie
aspirazioni, alle proprie ambizioni.
Realismo infine sino a farsi da parte lasciando che altri s'affaccino, trovandoci preparati se alcuni vorranno il nostro aiuto.
Sino a poter dire "sono un servo inutile".
E’ il cuore dell’uomo che genera
il perpetuarsi del potere.
Pasolini aveva visto giusto:
l’emergere dopo il ’60 del potere reale e la relativa sconfitta dei politici.
Cominciava così un nuovo totalitarismo e una elite capace di autoperpetuarsi.