domenica 29 dicembre 2013

Tra amici e il "mi sta a cuore"



Non è mai lunga la strada che porta a un amico. Da tempo non ci si vedeva e così ieri siamo stati a casa di amici.   Il Fabri, la Giò, la piccola Sofia. Un po' di anni da raccontarci; patemi d'animo da condividere. 
Tralascio il post che avevo in mente. Amanti di don Milani anche loro, nella giornata di ieri i riferimenti a Barbiana sono stati diversi. Come l'accostare il ciò che ciascuno di noi vive, nel proprio pezzetto di chiesa, al modello "alto" preso a riferimento. Agli esempi quotidiani di un vivacchiare ecclesiale con una ridotta capacità di responsabilità condivisa; d'un fare chiesa dal volto piccolo borghese: ciascuno a casa propria, ognuno, monade tra le monadi, ad arrabattarsi  coi propri problemi e difficoltà!

Avverto sempre più la necessità di far risuonare dentro di me frasi tratte dalle letture di chi mi ha in parte indirizzato alla fede.   Siamo nel dicembre del 1954 e don Lorenzo Milani sale a Barbiana, isolata e quasi sperduta parrocchia sul monte Giovi, nel Mugello.  In questa  realtà “inessenziale” di campagna, all'apparenza così insignificante nel piano umano (e anche nell'economia divina),  il don inizia  ben presto a raggruppare i figli delle famiglie contadine disseminate sulle montagne di Barbiana.
Nel pensiero di don Lorenzo la scuola è in grado di dare ai poveri dignità e di renderli protagonisti. Così il don invita alla responsabilità i suoi ragazzi, facendo scrivere loro “I care”  (“su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I CARE. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori: me ne importa, mi sta a cuore. L'esatto contrario del motto fascista me ne frego” avrà modo poi di spiegare nella Lettera ai giudici nell’ottobre 1965).
 
 “Mi sta a cuore”. Li chiama ad esserci, a sentirsi responsabili delle proprie azioni, ma soprattutto a sentirsi responsabili delle persone e dei volti incontrati ogni giorno.
Quelle che seguono sono parole tratte da una lezione registrata che don Milani fa a un gruppo di ragazzi della terza media di Borgo San Lorenzo. A loro parla intorno ad un tavolo e cerca di scuoterli, ricordando che possono e devono scegliere, e che ogni scelta porta responsabilità.

“Voi dite: «Si va a ballare perché Borgo non ci offre nulla di meglio». Ma è anche viltà vostra, perché un bambino in fasce non può lamentarsi se le sue fasce sono sporche o strette, ma alla vostra età è troppo comodo scaraventare tutte le responsabilità sugli altri. Avete un'età che se resistete, se cercate, se vi organizzate potete creare un'infinità di cose. Quando avrete tentato e ritentato di avere qualcosa di meglio del ballo, potrò dire con pietà: «Poverine! Non c'è rimedio!». Ma non siete giustificate se non fate nemmeno il più piccolo sforzo. Oltre a tutto sarebbe quasi l'ora di pensare anche a un'altra cosa, e cioè che siete guidate come schiave da qualcuno che vi manda dove vuole lui. A lei Mario, negli anni della sua esperienza di gestore di una pista, è mai successo di vedere uno, due ragazzi, un gruppo di giovani e di ragazze, ribellarsi a un dato tipo di musica e di ballo e pretendere che non fosse suonato e ballato perché non corrispondeva ai loro gusti?” Mario risponde: “Io credo che molti giovani vadano dietro alla corrente. Di solito gli piace quello che è di moda, non quello che gli piacerebbe davvero.”

Responsabilità è dunque anche capacità di aprire gli occhi, di leggere la realtà in cui viviamo per rispondere in maniera concreta a ciò che ci succede intorno. Don Milani fa divenire così la scuola luogo per imparare ad apprendere, a pensare con la propria testa.

“Senti cara, due anni fa, mi trovai a fare una leticata (litigata) in piazza a Vicchio. C'era un imbecille di giovanotto che diceva che lui portava la cravatta per parare il freddo. Fece fare una risata a tutti. Poi provò a dire: «Perché mi piace». Per l'appunto vedo che a tutti intorno piace la stessa cosa, sicché non ci credo. Difatti lui portava la cravatta non perché l'avesse scelta, ma perché la portano gli altri. E voi il twist non lo avete scelto, ma ve lo hanno imposto e ve lo possono imporre come vogliono. Un ballo, se è bello o brutto non importa, quello che impongono è quello che pigliate. Se fissano a New York che quest'anno ballate l'Aida, voi ballate l'Aida, se fissano che ballate la messa da morto, ballate la messa da morto. La vostra libertà è di scegliere entro i limiti delle poche possibilità che vi danno, cioè di ballare un twist o un madison, ma non di ballare o pensare; non di ballare o regnare e essere padroni del vostro voto, del vostro pensiero; non di ballare oppure vincere discussioni; non di ballare o convincere le persone con cui parlate... purtroppo la mia previsione è che sarete pecore, che vi piegherete  completamente alle usanze, che vi vestirete come vuole la moda, che passerete il tempo come vuole la moda. Ma mi dite che soddisfazione ci trovate ad accettare una situazione simile? Ribellatevi! Ne avete l'età. Studiate, pensate, chiedete consiglio a me, inventate qualcosa per sortire da questa triste situazione in cui siete e poter arrivare al punto di fare realmente, con una libera scelta vostra, le cose che vi par giusto fare. Per me sarebbe una umiliazione tremenda se uno mi domandasse: «Cosa stai facendo? Perché lo stai facendo?» e dovessi restare a bocca aperta senza rispondere. Educo i miei ragazzi così, a  saper dire in qualunque momento della loro vita, cosa fanno e perché lo fanno”.

Attraverso il suo progetto educativo, il don dà valore all’impegno personale alla costruzione del bene comune. Ognuno deve agire come si sentisse responsabile di tutto, in armonia e coerenza con la propria coscienza autentica di cittadino sovrano e non più di suddito.

“A fare quelle mossettine in sala da ballo ti riesce e a seguire una riunione politica e sindacale che ti prepara a essere più capace, più sovrana, ti pare di non essere capace? Eppure  probabilmente l'anno prossimo andrai a lavorare e avrai davanti responsabilità immense: licenzieranno una tua compagna di lavoro e dovrai decidere se scioperi o no per lei, se difenderla o no, se sacrificarti o non sacrificarti per lei, se andare in corteo davanti alla prefettura o davanti alla direzione, se rovesciare le macchine e rompere i vetri oppure se tu dovrai zitta zitta chinare la testa e permettere che la tua compagna sia cacciata fuori a pedate dalla fabbrica. Tu queste cose le dovrai decidere l'anno prossimo e per ora ti prepari, twistando in una sala da ballo?"

Da Barbiana don Milani tenta di far sentire ognuno protagonista di un progetto di responsabilità comune. Si può cominciare a scegliere, a mettersi in gioco, a farsi promotore della diversità. E questo può e dovrebbe partire da ogni “maestro che – come scrive don Lorenzo - deve essere per quanto può profeta, scrutare i segni dei tempi, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in modo confuso”. "Dovremmo anche – sono ancora sue parole – avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto".  








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