sabato 4 gennaio 2014

i cristiani...temerari, capaci di generare vita



A volte scordo un presupposto fondamentale. Un presupposto lampante, certo ma sgradevole. Sarà questo il motivo per cui facilmente lo trascuro, lo nascondo fino a censurarlo. Quale sarebbe?

Questo: non tutto ciò che viene da me, quello che faccio e che penso per il semplice motivo che proviene da me è una buona cosa, è il meglio che possa esprimere.

Ho avuto questo precisa folgorazione qualche giorno fa nel “dovere di sedersi”, quell’ appuntamento mensile in cui mia moglie ed io ci prendiamo il tempo per raccontarci di noi, per pregare insieme, per riprenderci  e rimotivarci, per ridisegnare le nostre mappe, le nostre mete, i nostri desideri,…

E’ vero che non lo dichiaro apertamente però, lo devo onestamente riconoscere, in pratica mi comporto come se effettivamente fosse così.

Il pensiero di diventare buono o più buono, il proponimento di diventare più retto o migliore e quindi di progredire verso un modello di perfezione, è un concetto che io presento a mio figlio e non presento immediatamente a me stesso; più o meno appagato di così  come sono non riconosco il bisogno di crescere, di migliorare.  In fondo è come se ammettessi “io sono arrivato”, “sono realizzato”, “sono un perfetto cristiano”,…Oppure, e per me è un pensiero ben peggiore perché deprime e schiaccia  tentativi e tensioni, fino a farmi ritenere impossibile qualsivoglia miglioramento, arrivo a convincermi che "tanto non sarò mai...!".

Riconosco che vi sono persone insoddisfatte di se stesse, e quindi in perenne ricerca, tentennanti nel loro cammino.  
Ma sembra a me che siano una minoranza e neppure tanto invidiata perché l’insoddisfazione, e quindi la ricerca del miglioramento, genera sofferenza, provoca tormento.

Son convinto che la stragrande maggioranza dell’umanità, persino la gran parte dei cristiani, sia soddisfatta di se’, sia appagata della posizione raggiunta, sazia di sé stessa, persino capace di “vendersi” e spacciarsi come gente da invidiare, imitare.

Crede in sostanza di essere al (il)  meglio, di avere raggiunto le vette e neppure è sfiorata dall’idea di dover ancora muoversi, cambiare, migliorare, rinnovare il desiderio di perfezionarsi.
Scorgo in questo la pesantezza (anche nel senso di “noiosità), la mediocrità, la scarsa vivacità che grava sulla Chiesa.

Una Chiesa, noi cristiani, come gente statica, pesante, seduta, quasi inaridita e incapace di slanci, chiusa a prospettive ampie. Capace solo di ripetere sino allo sfinimento “si è sempre fatto (pensato, detto, goduto, amato,…) così”.

 Eppure sembra a me che ogni qualvolta mi confronto con il Vangelo mi vengono rinviate  parole chiare, pensieri sempre nuovi, capaci di far volare desideri ed esistenze, liberare sogni, sciogliere catene.

E' bene ricordare che lo Spirito di Dio non si è posato su di noi ma su Gesù Cristo. E’ lui l’uomo giusto, non io.

Lui è il modello cui conformarmi perché possa riconoscere in lui, uomo giusto, il giusto modo di vivere.

L’idea di diventare migliori, di diventare buoni per un cristiano adulto trova riferimento nel dovere di rifarsi a Gesù Cristo. Una vita tutto sommato “spericolata”, poco incline a quel ricercato equilibrio tanto caro a scafati politici e  navigati prelati esperti di affari curiali, tenaci acrobati nel non cambiar nulla.

Il modello di Gesù rinvia a donne e uomini non annoverabili tra gente scialba e ferma, sfiduciata e senza prospettive; neppure catalogabili tra persone solo votate all’azione, impegnati a fare, pur belle e nobili, cose  culturali, sociali o politiche.

Penso che il cristiano sia una persona impegnata prioritariamente a modellare la propria vita su Gesù Cristo. 

I cristiani sono, meglio dovrebbero essere, i santi che è un termine un po’ sbiadito per dire che devono vivere come il loro Signore: gente aperta all’ascolto e alla preghiera,  temerari, capaci di generare vita scommettendo la propria esistenza e accordando la fiducia a quel qualcuno che li ha fatti innamorare.

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