Una
delle piccole grandi gioie feriali di un papà è quella di andare a prendere il
proprio figlio a scuola.
Mi
capita raramente e mi accorgo di quante occasioni perse è fustellata la mia
vita…
Nel tragitto verso la scuola mi sale un pò di emozione e poi c’è sempre un trepidare in quegli attimi di attesa.
Ci
si guarda in giro, si salutano volti noti, affiorano richiami alla storia
personale, alla memoria di quando mio padre mi aspettava fuori della scuola.
La
storia si ripete ma non come fotocopia.
Nella
mia scuola, alle elementari, quarant’anni e oltre di vita, non ho il minimo
ricordo di scolari - compagni di classe numerosi poiché figli tutti del boom
economico - dalle pelli di colore diverse dal bianco, dagli occhi a mandorla e
da lingue straniere e lontane.
Gli
“stranieri” erano altri italiani, gente del sud e veneti, alcuni friulani.
Oggi,
in questo caldo e soleggiato pomeriggio di metà aprile, nell’attesa vedevo lo
sciamare di piccoli studenti dai lineamenti diversi, neri e mulatti e tonalità
di carnagioni olivastre; sentivo spezzoni di lingue di innumerevoli nazionalità
nei capannelli di padri e madri e nonni ad aspettare.
In
questo piccolo comune di 6000 abitanti oltre il 10% proviene da nazionalità
estere (Albania, Russia, Marocco,
Romania, Camerun, Turchia,..) e il loro numero è destinato a crescere.
Ecco,
escono i più piccoli e poi quelli della seconda elementare.
Esce
mio figlio, mano nella mano ad una sua compagna di classe dalla pelle scura
scura.
La
vita è questa, mescolanze di colori e tradizioni, continui intrecci e tessiture
di storie diverse…
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