lunedì 26 settembre 2016

lettera ad una coppia in crisi



“Ti amo così tanto che sono infelice”, “ci amiamo ma…stare insieme è un inferno”, “ci vogliamo bene ma…”, “…la nostra fede salverà il nostro matrimonio..”, “..in fondo non è la felicità quella che è importante…”

E’ così importante la felicità che, il papa, mica un peccatore qualunque, papa Francesco dopo averci fatto dono della Evangelii gaudium, ci regala Amoris lætitia: dopo la gioia del vangelo, la gioia dell’amore in famiglia (Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia”)!

Per dire Evangelii gaudium Francesco scrive in spagnolo La Alegria del Evangelio per dire Amoris lætitia scrive ancora La Alegria del Amor. Quanto all’incipit delle due esortazioni apostoliche, dunque, gaudium parrebbe equivalere a lætitia: come «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù», così «la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa».

Sta di fatto, però, che sia in Evangelii gaudium che in Amoris lætitia non si parla solo di “gioia”, ma anche di “felicità”. Non è, anzi, esagerato affermare che Amoris lætitia è una stupenda lode alla bellezza e alla felicità dell’amore in famiglia.

Cari A. e  L. : bisogna avere il coraggio e l’umiltà di chiamare le cose col loro nome.   Accontentarsi non piace a nessuno. “Non siamo stati voluti per le cose piccole, ma per le grandi” sono parole sempre di un altro peccatore non qualunque: Papa Benedetto XVI.

Per prospettare una fede capace, anche nelle difficoltà della vita, di rendere felici, Amoris lætitia fa ricorso 52 volte al termine “gioia” e 23 volte al termine “felicità” o all’aggettivo “felice” (declinato, a volte, al plurale “felici”). Quasi a dire che, per annunciare il Vangelo della famiglia – «gioia che riempie il cuore e la vita intera» (n. 200) occorre fare esperienza della gioia vissuta.

L’amore riconosce il diritto che ciascun essere umano ha alla felicità: amare una persona e guardarla con lo sguardo di Dio Padre, che ci dona tutto “perché possiamo goderne” (1Tm 6,17), significa godere intimamente del fatto che lei possa essere felice (n. 96). E’ sempre il papa a ricordare l’impegno alla felicità.

Permettetemi d’entrare nella vostra vita, quasi in punta di piedi: per il bene che vi voglio, per il bene che mi volete, in quell’abbraccio di un pezzo di cammino nel nostro gruppo per oltre cinque anni.

Vi ho conosciuto già martoriati, ancora vi state macerando, logorando, estenuando.

Siete rimasti inghiottiti sempre in un buco nero dentro del quale, soli, si annaspa e si muore.

Avete sprecato tempo, energie…avete accumulato rancori e frustrazioni…avete seminato dispiaceri, delusioni, tensioni.

Uno sguardo severo l’uno sull’altro, a gettarvi colpe e croci, a fare del vostro vivere una pesante gabbia regalandovi sofferenza, elargendovi inutili dolori.

Che voi non vogliate più far parte del nostro gruppo mi spiace. Il rimanervi penso che sia, almeno per voi ora, un’occasione, forse l’unica, per trovare volti amici che ancora tengono a voi, che sanno la sofferenza che portate, che hanno visto la vostra “nudità” senza infingimenti e disposti ancora ad ascoltarvi e, se solo lo vogliate, a tentare di darvi un appoggio.

Temo però che la vostra rigidità vi impedisca di tentare. 

Indipendentemente dal gruppo, ciò che mi rincresce alla radice è il considerare che qui c’è in gioco la vostra vita: non un simulacro di relazione ma la costruzione di una gioia che si fa incontro e accoglienza l’uno per l’altro. Che si fa abbraccio e evidenza di bene da trasmettere e passare carnalmente al vostro piccolo tesoro.

Non avete da dimostrare quanto cristiani siete e quale fede vi stia alimentando. Al di là della maschera rimane il volto scavato dalle lacrime e dalla desolazione.

 La tristezza scolora gli occhi.

La prova della fede è la testimonianza della gioia, della felicità.  O il matrimonio è un fiacco compromesso di soddisfazione, o è il mezzo per raggiungere il proprio compimento e quindi la maggior felicità possibile. 

Sarà anche per questo che siamo così poco testimoni infarciti come siamo di un’immagine di cristianesimo doloristico, più prossimo allo stoicismo, cupo, fatto d’interpretazioni moralistiche sacrificali, catene per imbrigliare la libertà e la dinamica del desiderio più che ali a favorire percorsi di maturazione positiva. 

Possiamo essere l’uno per l’altro via e strumento per la libertà oppure artefici di continua sofferenza.  Fatevi aiutare, regalatevi un cammino di liberazione. Vi attende un esodo.

Siate ragionevoli, vogliatevi bene. Perdonatevi, gettate maschere e regalatevi libertà. Vi meritate gioia, gettate zavorre e lacci. 

Un abbraccio. 

P.S.

Oggi son rientrato presto dall’ufficio. Mentre vi scrivo mio figlio è rincasato dal centro estivo, le pentole sul fuoco già si animano, mia moglie ha varie riunioni e rientrerà più tardi.  Le ferite del mio passato le conoscete.  Ora aspetto una donna che mi ha accolto e mi desiderava per come ero –   per come sono e (si spera) per come sarò – anche più ingrassato e rompiballe. Un uomo che ancora riesce a scriverle: “Nulla, non c’è nulla di noi che andrà perduto, per tutta l’eternità. Sei troppo bella tu per andare a scomparire. E il per sempre sotto il segno della felicita, nel già e non ancora, apre all’attimo dell’infinito”.



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