venerdì 26 ottobre 2012

Compassione e speranza

"....ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai loro troni e innalzato gli umili, ha colmato di beni gli affamati e rimandato i ricchi a mani vuote..." (Lc1,51-53)

Compassione (dal latino cum patior , stare con l'altro quando soffre, partecipare alle sofferenze altrui) e speranza sono forse queste alcune parole oggi mancanti nel vocabolario politico e persino religioso.

Il desiderio, il piacere, la passione per l'uomo, avere l'ambizione di saper vedere dove e come si sta promuovendo la sua liberazione, non è un optional.
Non è un esercizio attivabile a seconda di slogan alla moda e delle convenienze. Di partito o di chiesa.

Stare con chi soffre è la cifra più alta e nobile dell'umano reso fratello, prossimo, così intimo da superare divergenze, incomprensioni, ideologiche lontananze.  Chinarsi e condividere la sofferenza è l'inizio dell'amicizia. Il cominciamento di un linguaggio pienamente umano, pienamente divino. Il tu e l'io si fondono in un silenzio dove risalta la comprensione e l'accoglienza. Solo lo sguardo dice e accoglie, solo le braccia dicono e accolgono.

Si comprende appieno solo la storia delle persone con cui si vive, di cui si compatisce un frammento di vita o della conoscenza in nudità di momenti lungo un pezzo di strada fatto insieme.
Istanti di un esistenza condivisi.

E la speranza per chi ha gli occhi colmi di lacrime può risorgere.

Sono questi i sentimenti e le riflessioni che sono nate questo pomeriggio quando nei miei uffici è entrata una giovane donna di colore con due suoi figli, piccoli.

Piangendo mi dice in un italiano stentato che ha perso il marito, una grave malattia lo ha divorato in poco tempo.  Aveva trentacinque anni. Lavorava da qualche tempo non in regola in una piccola fabbrica in provincia.

E' la vita di tanti altri così nascosti, così lontani eppure prossimi.

Poi la malattia lo ha costretto a starsene a casa sino a quando il padrone non lo ha più voluto.

Il marito era entrato in Italia da oltre dieci anni e lei da soli tre lo ha raggiunto lasciando la sua gente e la sua terra, nel Camerun.

Questa donna non ha diritti, nè salvaguardie.
Non avrà una pensione di reversibilità. Vive ora grazie ad interventi una tantum di enti benefici.

 Il piccolo comune dove vive non può provvedere a lei e ai suoi figli.

L'assessore ai servizi sociali, una signora certo affabile e gentile, con cui ho parlato per telefono, me lo ha ripetuto all'infinito: non ci sono soldi, il comune ha un bilancio risicato, non è neppure una cittadina italiana,...

 Le ragioni della politica spesso nascondono la ragione.

Così questa vedova, piena di dignità con i suoi due figli piccoli, vuole ritornarsene nella sua terra.

Mi sono commosso. Non avevo parole. Davanti alla sofferenza si è muti.

Ritorna nel suo paese perchè così mi ha detto: "là chi è abbandonato da tutti è con Dio".











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