Abbiamo pregato e abbiamo condiviso il cibo.
Abbiamo scherzato e pianto.
Abbiamo partecipato gli uni dell'afflizione degli altri.
Abbiamo partecipato gli uni dell'afflizione degli altri.
Patire insieme è forse più sopportabile.
Il dolore non cessa di essere tale perché condiviso ma è forse più tollerabile. Persino a volte sensato.
Il dolore non cessa di essere tale perché condiviso ma è forse più tollerabile. Persino a volte sensato.
Le lacrime scorrono meno feroci se ad asciugarle ci sono gli
amici.
E il buio di un seminterrato diventa la più splendente delle
cattedrali per incontrare la parola di Dio.
Il pianto si placa nell’abbraccio.
Una Chiesa che abbraccia rende ospitale un mondo a volte ostile, a volte chiuso.
Indifferente alle lacrime.
Una chiesa che abbraccia accoglie il dolore sempre incomprensibile
e assurdo rendendolo persino speranza ai piedi della
Croce.
Speranza come nel giorno della Pasqua.
Il segno dell’abbraccio e della condivisione è il segno
della vitalità di Dio che ancora abita tra gli uomini.
Son sempre stato attratto dal Dio che piange per il suo
popolo, che geme e singhiozza con il suo popolo.
Mi hanno sedotto le lacrime che il Signore versa per le
sofferenze patite dall’uomo.
Dolore inutile il nostro, di donne e uomini (co)stretti alla
vita.
Piegati e piagati del vivere sino allo sfinimento.
Sino all’impossibilità di assecondare il fluire
dell’esistere.
Quasi un Dio inutile davanti al dolore e alla morte.
Per simpatia, per condivisione con un abbraccio entra
nell’umanità caricandosi di sofferenze e
di morte.
E Dio si fa inutilmente piccolo, umano, nostro compagno di
vita.
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