lunedì 4 maggio 2015

Dove la debolezza è forte



Dal momento in cui nasciamo, per tutti i giorni che avremo da vivere sotto questo cielo, abbiamo bisogno di cibo e di acqua e di amore e di un senso, un motivo, un orientamento per non perderci, per non morire, per non farci dilaniare dall’angoscia e dalla solitudine.

Come nel deserto il popolo liberato dalla schiavitù doveva, faticando giorno per giorno, raccogliere la manna senza accumularla e a fatica mantenere il passo verso un destino da liberi.

Facilmente scordiamo la nostra origine, passeggeri, mendicanti sotto questo cielo mentre percorriamo l’oggi ricercando saggezza che renda possibile e bella questa nostra traversata.

Oppure nel nostro procedere pesante e ostile, arido e violento ci si trova impietriti e delusi, e soggiogati ci lasciamo andare afflitti.
                                                                                                                                                    
Una vita senza soste tra un istante e l’altro, fra parola e silenzio, sospiro e lacrime e fra noi e gli altri; ciò ci dà l’illusione d’essere nella condizione di presunto dominio del tempo non cogliendo in esso il mistero.

Noi percepiamo solo alcuni bagliori di gioia nuziale, raggi fugaci tra infinito e finito, e ciò che per noi si sparge, si disperde e si spezza, in Dio è racimolato e custodito gelosamente.

Abitiamo ogni giorno sperimentando che in esso non vi è nulla di troppo e nulla di non abbastanza, nulla d’identico e nulla d’inutile.

Avvertiamo che dentro la vita persiste ciò che alimenta la sua creazione e che il tempo si fa spazio.

Ci sono eventi e circostanze, vicende spesso inesplicabili che intrecciano ogni giorno le trame della vita, amalgama di stupore, impegno, sale e lievito, acqua e calore, luce: elementi che creano il nostro destino esaltandone il sapore e risaltandone il valore.

La manna spegne la fame e basta alla fatica di ogni giorno.

Pur tra i miei limiti e le sgobbate quotidiane cerco una corrispondenza, una normalità regolata, un’ordinaria mescolanza che non è nascondimento rinunciatario, ma penetrazione e fedeltà alla terra.

(In greco askesis - ascesi - non significa tanto rinuncia ma esercizio, pratica, abilità di abitare l’esistenza, di preparare con lo sforzo e la fatica, la bellezza nella/della vita).  

Nell’ordinario procedere, la regolarità non cerca il risultato, ma vuole trovare valore alla monotonia dei giorni, un senso alla delusione dei progetti che non si avverano.

Nonostante gli anni e le disillusioni, le cadute con le ferite date e ricevute.

 Così nonostante la pesantezza, devo essere capace ogni giorno di ridire: “io ricomincio”, conservando la luce degli occhi, la freschezza del credere e del ringraziare.

 Tenendo stretto l’impegno alla fedeltà che trasuda fatica e gioia.

Vivere ogni giorno come un inizio dove nulla è ancora deciso, dove a volte il senso s’oscura e le gambe cedono; dove ogni rischio è ancora aperto e ogni avventura è ancora indefinita e sospesa.

Dove la debolezza è forte. 

Dove non rimane che stare in attesa sino ad accogliere un gesto, un segno e far dimorare nel silenzio più profondo lo Spirito che ci rende nuovi come la luce ad ogni alba che annuncia il giorno che nasce.

1 commento:

  1. Mi pare di sentire l'eco del racconto dei padri del deserto: L'ottantenne padre Macario abita nel deserto, alla domanda di un suo giovane allievo - perché stia ancora nel deserto alla sua età - risponde: "ogni giorno ricomincio". Da quando, anni fa, l'ho sentita, questa frase è diventata il mio motto. :) MLG

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