Dal
momento in cui nasciamo, per tutti i giorni che avremo da vivere sotto questo
cielo, abbiamo bisogno di cibo e di acqua e di amore e di un senso, un motivo,
un orientamento per non perderci, per non morire, per non farci dilaniare
dall’angoscia e dalla solitudine.
Come
nel deserto il popolo liberato dalla schiavitù doveva, faticando giorno per
giorno, raccogliere la manna senza accumularla e a fatica mantenere il passo
verso un destino da liberi.
Facilmente
scordiamo la nostra origine, passeggeri, mendicanti sotto questo cielo mentre percorriamo l’oggi ricercando saggezza che renda possibile e bella questa nostra
traversata.
Oppure
nel nostro procedere pesante e ostile, arido e violento ci si trova impietriti
e delusi, e soggiogati ci lasciamo andare afflitti.
Una
vita senza soste tra un istante e l’altro, fra parola e silenzio, sospiro e
lacrime e fra noi e gli altri; ciò ci dà l’illusione d’essere nella condizione
di presunto dominio del tempo non cogliendo in esso il mistero.
Noi
percepiamo solo alcuni bagliori di gioia nuziale, raggi fugaci tra infinito e
finito, e ciò che per noi si sparge, si disperde e si spezza, in Dio è racimolato
e custodito gelosamente.
Abitiamo
ogni giorno sperimentando che in esso non vi è nulla di troppo e nulla di non
abbastanza, nulla d’identico e nulla d’inutile.
Avvertiamo
che dentro la vita persiste ciò che alimenta la sua creazione e che il tempo si
fa spazio.
Ci
sono eventi e circostanze, vicende spesso inesplicabili che intrecciano ogni
giorno le trame della vita, amalgama di stupore, impegno, sale e lievito, acqua
e calore, luce: elementi che creano il nostro destino esaltandone il sapore e risaltandone
il valore.
La
manna spegne la fame e basta alla fatica di ogni giorno.
Pur
tra i miei limiti e le sgobbate quotidiane cerco una corrispondenza, una
normalità regolata, un’ordinaria mescolanza che non è nascondimento
rinunciatario, ma penetrazione e fedeltà alla terra.
(In
greco askesis -
ascesi - non significa tanto rinuncia ma esercizio, pratica, abilità di abitare
l’esistenza, di preparare con lo sforzo e la fatica, la bellezza nella/della
vita).
Nell’ordinario
procedere, la regolarità non cerca il risultato, ma vuole trovare valore alla
monotonia dei giorni, un senso alla delusione dei progetti che non si avverano.
Nonostante
gli anni e le disillusioni, le cadute con le ferite date e ricevute.
Così nonostante la pesantezza, devo essere
capace ogni giorno di ridire: “io ricomincio”, conservando la luce degli occhi,
la freschezza del credere e del ringraziare.
Tenendo stretto l’impegno alla fedeltà che
trasuda fatica e gioia.
Vivere
ogni giorno come un inizio dove nulla è ancora deciso, dove a volte il senso
s’oscura e le gambe cedono; dove ogni rischio è ancora aperto e ogni avventura
è ancora indefinita e sospesa.
Dove
la debolezza è forte.
Dove
non rimane che stare in attesa sino ad accogliere un gesto, un segno e far
dimorare nel silenzio più profondo lo Spirito che ci rende nuovi come la luce
ad ogni alba che annuncia il giorno che nasce.
Mi pare di sentire l'eco del racconto dei padri del deserto: L'ottantenne padre Macario abita nel deserto, alla domanda di un suo giovane allievo - perché stia ancora nel deserto alla sua età - risponde: "ogni giorno ricomincio". Da quando, anni fa, l'ho sentita, questa frase è diventata il mio motto. :) MLG
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