lunedì 25 luglio 2011

E' sempre il tempo di desiderare e dare amore

 E' sempre il tempo di desiderare maggiore ascolto (ovunque, con chiunque), maggiore  umiltà (ovunque, con chiunque), maggiore tenerezza (ovunque, con chiunque), maggiore accoglienza (ovunque, con chiunque), maggiore amore (ovunque, con chiunque). E' sempre il tempo, qui ed ora, di affermare che chiunque e ovunque sia un bene prezioso da amare. Non sono così illuso da ritenere che tutto ciò sia un automatismo, un pio quanto sciocco velleitarismo infantile.  E' anche uno sforzo, un impegno, un richiamarsi reciproco a volersi bene. Lo dico come marito, come padre e lo chiedo anche come cristiano alla propria Chiesa.
Anch'io mi unisco a quanti, quotidianamente, pregano per non perdere la speranza "di tempi nuovi e di una chiesa che sappia finalmente e davvero leggere i segni dei tempi".
La bella rivista, trimestrale, "Matrimonio - in ascolto delle relazioni d'amore" mi regala sempre segnali di speranza, occasioni di riflessioni. Nel numero 2 del giugno 2011  Luisa Solero (avvocato per la famiglia e i minori) firma un articolo che è un dono a quanti vogliano continuare a desiderare e sperare.

Pioveva, forse, quel giorno in Croazia...
di Luisa Solero

L'informazione era stata data al telegiornale fra le varie notizie sull'estero, accompagnata dal relativo
servizio: "Nell'odierno incontro pastorale nel suo viaggio in Croazia il papa ha riaffermato
l'autenticità della famiglia fondata sul matrimonio, chiamandola alla testimonianza e all'evangelizzazione. Il
papa ha invitato a non cedere alla mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria
o addirittura sostitutiva del matrimonio..."
Avevo allungato le orecchie. Avevo appena concluso un incontro con gli operatori della Pastorale
Familiare, in quella sede si era parlato dei mutamenti sociali, nella mia relazione avevo utilizzato i concetti
espressi di recente nella Rivista, e avevamo tutti lavorato con grande sintonia intorno al concetto di una chiesa
che vive nella storia e sa leggere i segni dei tempi.
Per questo avevo pensato che forse pioveva quel giorno in Croazia, visto che questi segni dei tempi non
avevano potuto intravedersi, o erano stati presi come segni forieri di tempesta.
Confrontandoci nelle nostre esperienze, in quell'incontro ci eravamo trovati d'accordo sul fatto che non
è Dio che impone un modello di famiglia, che i cristiani hanno sempre fatto famiglia secondo gli usi e i
modelli culturali dell'epoca in cui vivevano e dei luoghi in cui abitavano. Del resto il sacramento del matrimonio
è stato introdotto dalla Chiesa nel corso del Medioevo, recuperando il rito romano degli sposi che, seduti su
di un panchetto coperto da una pelle di pecora e davanti all'altare dei penati (gli dei familiari),
celebravano la loro unione alla presenza del sacerdote e della famiglia spezzando un pane di farro.
Avevo aggiunto che per il diritto romano esistevano anche altri due tipi di matrimonio, quello civile
costituito da una forma contrattuale simbolica, e quello presunto, atteso che i romani nella loro
pragmaticità avevano deciso che, trascorso un anno di convivenza, la coppia dovesse ritenersi
regolarmente sposata.
Avevamo insieme considerato che le famiglie che ci presenta la bibbia sono più irregolari che regolari, la
stessa Madre di Dio è il paradosso attraverso cui Egli si incarna nella vita dell'uomo. Non è la logica
dell'uomo, ma è quella di Dio, e si fonda non su precetti formali ma sull'amore, quello
incondizionato che presuppone la rinuncia di sé per diventare storia condivisa.
Nella mia breve relazione avevo illustrato i dati di statistiche recenti, il numero delle famiglie è
lievitato a causa del loro rimpicciolirsi e del frantumarsi, ormai i matrimoni fondano la
famiglia solo nel 40% dei casi, pur sommando i matrimoni religiosi, che sarebbero quelli "veri", i
matrimoni civili per scelta di convinzione, quelli fasulli che servono per regolarizzare le badanti, e i
secondi matrimoni, che sono quelli, in fondo, che tirano su il numero e offrono una chance al figlio
unico di poter avere dei fratelli. Avevo raccontato di un bambino che mi aveva detto di essere figlio
unico ma di avere cinque fratelli, perché tali considerava sia quelli venuti dopo di lui nelle due
famiglie ricostituite dai propri genitori, sia quelli acquisiti e precedenti, figli dei rispettivi partner dei
suoi genitori. Lui si percepiva correttamente come figlio unico di quei due genitori, ma anche come
fratello dei suoi fratelli, identificati come tali attraverso la relazione affettiva. Del resto, oggi un bambino
su quattro è figlio naturale (uno su tre al nord, uno su dieci al sud), ma nessuno oggi si sognerebbe di
definirlo "figliastro" (vocabolo riservato un tempo a] contesto delle fiabe, che peraltro ormai
nessuno legge più, e comunque privo di connotazione giuridica).
Discutiamone pure in astratto, avevamo detto in quell'incontro, in via di principio, o come auspicio
propositivo, ma la realtà è che non è il matrimonio che fonda la famiglia, ma è l'amore che fonda le
relazioni, che le sostiene e le alimenta. Ed è attraverso l'amore che Dio entra nella storia dell'uomo e si fa
famiglia, nelle più svariate forme in cui essa si costituisce, che Dio si incarna nell'umanità, e giorno dopc
giorno nasce e vive, e soffre e muore. Ed è per questo che Dio ha bisogno dell'uomo, della relazione
d'amore fra gli uomini, tutti gli uomini di qualsiasi credo sulla terra e sotto il cielo.
Il tema delle unioni civili, delle convivenze di fatto, delle unioni omosessuali (al cui interno vivono,
come sappiamo, e convivono i figli) non può essere liquidato così, come fosse un corpo estraneo da
accantonare, come se la fortuna di riuscire a mantenere nel tempo un legame coniugale costituito nel
matrimonio ponga i privilegiati nel gruppo degli eletti, depositari dell'etica, della morale, della verità,
impegnati a proporre al mondo l'esclusività di un modello unico e imprescindibile, che dà diritto ad
accostarsi ai sacramenti amministrati nella comunità dei fedeli, pecorelle di un gregge fedele al
quale la pecorella smarrita potrà solo accostarsi di lato, mantenendo la giusta distanza.
Mi hanno raccontato l'altro giorno dei clienti che, nello scorso inverno, avevano chiesto al parroco il
battesimo del loro bambino. Erano entrambi divorziati dopo storie logoranti di immenso dolore, e
avevano finalmente ricominciato a vivere con la gioia impensata di un figlio, arrivato quando ormai non
avrebbero pensato. Si erano sentiti dire dal loro parroco che, per evitare lo scandalo e per non creare
problemi alla comunità, sarebbe stato possibile fare il battesimo, ma in via privata, un sabato
pomeriggio, come si dice, a porte chiuse.
Occasione sprecata, avevo pensato, e avevo chiesto ai clienti se quel giorno pioveva. Nevicava, mi ha
detto lui da persona concreta. Allora ho pensato che la veste bianca del battesimo l'aveva calata Lui dal
cielo perché la vedesse tutta la comunità.
Si affacciano alla mente tante storie di intimo, sofferto dolore. L'esclusione dai sacramenti e la
collocazione a margine nel popolo dei fedeli costituiscono una lacerazione profonda, un senso di
incompiutezza, di colpa, di esclusione. Il suggerimento di andare a fare la comunione dove non si è
conosciuti è ovviamente privo di senso perché profondamente scorretto. L'ipotesi di vivere da fratello e
sorella in un tempo della vita in cui la relazione intima costituisce l'espressione autentica e profonda
dell'amore verso l'altro, non risulta accettabile, nemmeno credibile. Può accadere, per malattia, per
impossibilità, per decisione concorde a fronte degli eventi della vita, perché talvolta si può anche decidere
nonostante tutto di continuare a vivere insieme nell'affetto e nel reciproco rispetto, ma non può essere
suggerita come una scelta.
E del resto è la comunità intera che soffre l'esclusione dei fratelli dalla partecipazione ai sacramenti.
Dov'è andato quel Dio che diceva "i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono
le mie vie", se non sappiamo leggere i suoi pensieri e percorrere le sue vie? Amerei pensare che, se mi
fosse negata la comunione, la mia comunità si rivolterebbe. E sarei pronta ad astenermi dalla comunione
se essa fosse negata ad altri.
Il mio cliente, l'altra sera, quello che mi ha raccontato del battesimo a porte chiuse, aveva gli occhi
lucidi quando lo raccontava, non c'era rabbia ma solo dolore. Poi in silenzio, pian piano aveva tirato
fuori il portafoglio e aveva estratto un ritaglio di giornale un poco consunto che riportava degli
stralci della lettera del card. Tettamanzi titolata "Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito". Aveva sottolineato
con l'evidenziatore: " ... ho cercato di mettere il mio cuore accanto al vostro, cari sposi ... che vi siete risposati
civilmente dopo il divorzio... Abbiamo iniziato un dialogo in cui comprenderci con più verità e amore
reciproco." "Verranno tempi nuovi, mi aveva detto il cliente con un sospiro, intanto ci ha chiamati sposi... La
chiesa deve fare anche lei i suoi dolorosi passi."
Allora ho pensato che una volta si teneva nel portafoglio la foto dei figli e della moglie lontani, di una
fidanzata che si aspettava di raggiungere per coronare un sogno. Oggi il Dio profondo nel cuore dell'uomo
è affidato a un trafiletto di giornale tenuto gelosamente in serbo, e a quel messaggio si affida la speranza di tempi nuovi e di una chiesa che sappia finalmente e davvero leggere i segni dei tempi.
 
 

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