venerdì 28 febbraio 2014

Tendi invece alla giustizia,...

Sono sobbalzato dopo aver letto una notizia sul Corriere della Sera del 27 febbraio.  Una di quelle notizie appena accennate, senza grande enfasi. Quasi a riempire un piccolo vuoto su una pagina. Capace però di fotografare, meglio e più d’ogni altra istantanea, la condizione di salute del nostro quotidiano.
In un istituto superiore di Milano, una giovane diversamente abile sulla sedia a rotelle, è al centro di una polemica incresciosa. Alcuni suoi compagni ritengono che la sua presenza rappresenti il motivo per cui diverse gite di classe siano state cancellate. Anche altri suoi compagni (mai come in casi simili vorrei usare questo sacro vocabolo: da cum panis, il dividere il poco e il molto che si ha; il condividere la sorte, la sfiga e la fortuna) non vanno sul tenero attribuendole la responsabilità d’impedire che la classe vada a pattinare o ad equitazione, attività previste dal programma.
Sulla mailing list dei genitori di quella classe intanto s’apre una disputa parallela, accesa come quella dei figli.
Molte le madri a stracciarsi le vesti perché quella ragazza, orrenda portatrice d’una diversità manifesta, impedisce il regolare svolgimento didattico ai loro pargoli. Persino una rappresentante del consiglio d’istituto ha suggerito alla mamma della ragazza “colpevole” di mandare la propria figlia in una scuola speciale.
Sotto un cielo plumbeo che avvolge questa vicenda scorgo il risultato di decenni di trascuratezza educativa, una diffusa propagazione di confusione etica, un infiacchimento della dimensione morale del vivere sociale.
Nell’attuale grigiore vedo la profonda crisi del mondo adulto, neppure più capace di porsi la fatidica inquietante domanda che apre alla speranza: “cosa trasmetto ai miei figli?”.
Neppure più l’interrogativo capace di generare un’attenzione educativa: “chi sono io adulto davanti ai giovani?”; “quali valori posso/devo/voglio loro trasmettere?”.
Il più delle volte passiamo segnali d’una vita misera, gretta. Fatta d’irresponsabilità e cinismo, di meschinerie e ambiguità.
Anagraficamente adulti ma incapaci di trasmettere valori, ideali, richiami a nobili mete; così fragili, vuoti, superficiali, arroganti. Così pronti a emulare le gesta di personaggi squallidi e pusillanimi, così lesti a consigliare scorciatoie ed espedienti per arrivare ad apprezzabili quotazioni sociali. Escort, nani e ballerine han sostituito eroi, santi e profeti.
Perché i giovani dovrebbero essere diversi se gli adulti son la testimonianza di individui confusi, alienati, stupidi?
Sfugge ai più che la parola adolescente null’altro significa che un tempo per diventare adulti. Sfugge perché nessuno lo ricorda più che noi adulti siamo cresciuti guardando gli altri davanti a noi, appunto gli adulti (che non è altro che il participio passato di adolescere ossia crescere). Ci servirebbe la dignità e la fierezza di un san Paolo quando nella prima lettera ai Corinzi scrive: “Quand’ero bambino parlavo da bambino, pensavo da bambino ragionavo da bambino. Divenuto uomo ho eliminato ciò che è da bambino” (13,10-22). Ci vorrebbe il suo coraggio e la sua franchezza quando, con toni appassionanti, parla al suo discepolo Timoteo: “Tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla pazienza, alla mitezza" (1 Tm 6,11b). Son queste le caratteristiche belle dell'essere adulto: la giustizia, la pietà, la fede, la pazienza, la mitezza. 



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