"Si è a casa dovunque su questa terra, se si porta tutto in noi stessi" (Etty Hillesum)
lunedì 21 novembre 2011
La libera parola nella Chiesa
Non è scontata la libertà di parola nella Chiesa; noi semplici fedeli laici lo sperimentiamo nei nostri ambiti di servizio, nelle parrocchie, nei gruppi di appartenenza. Ce ne accorgiamo quando, senza scomodare verità di fede, disquisiamo su argomenti che riguardano un'infinità di cose inerenti la nostra casa, la chiesa parrocchiale, come la curia diocesana o l'organizzazione di un ente ecclesiale. Si rimane basiti, sorpresi e rammaricati, di come ci sia qualcun altro, prete o laico che sia, che subito si erige a baluardo di una pretesa verità dogmatica, fosse pure l'opportunità di acquistare una statua a grandezza naturale del santo o beato all'ultima moda. Per non parlare d'argomenti più specifici (e anche più laicamente "nostri")come il lavoro, la famiglia, la sessualità, l'educazione dei figli, l'economia,... I più realisti del re parlano nel nome dell'assoluto, investiti direttamente dall'autorità divina, incaricati dal vicario terreno. Allora la voce si smorza in gola, non ti senti a casa tua, libero di poter parlare. Il rischio è che la voce di alcuni vada ad aggiungersi a quella dei tanti supini e incensanti ripetitori dell' ipse dixit. Oppure scompaia fino a prendere le distanze dalla chiesa. Non siamo abituati, non c'è stata data possibilità, non siamo allenati ma la parola deve tornare ad essere libera, anche nella chiesa. Senza paura di anatemi e ostracismi.
A più livelli il tema della possibilità di esprimere pareri, pensieri nella chiesa cattolica, si fa sempre più sentito ed è a firma di Aldo Maria Valli, scrittore e vaticanista , una bella riflessione sul blog vino nuovo.
All'autore e al blog tutta la mia simpatia.
Incapaci di discutere Aldo Maria Valli
Perché
se un laico osa esprimersi in maniera autonoma su questioni opinabili
(non su verità di fede) oggi scattano da parte di altri laici l'insulto e
l'intimidazione?Dopo che su Vino Nuovo ho espresso le
mie perplessità circa l'uso della pedana mobile da parte di
Benedetto XVI e le spiegazioni fornite dalla Santa Sede per
giustificarlo, sono stato sommerso di reazioni e commenti. Mi ha
colpito la violenza di molti che sono arrivati fino all'insulto e,
in qualche caso, alla minaccia. Non ne sono spaventato, anche perché
è da molto tempo che ricevo improperi ogni volta che esprimo
liberamente qualche opinione, ma penso che sulla vicenda sia il caso
di fare qualche ragionamento. Quell'articolo terminava con una
domanda: voi che cosa ne pensate? Era un invito esplicito a
manifestare le proprie idee. Ma se molti l'hanno accolto, molti
altri hanno preferito rispondere con l'invettiva e una sorta di
"scomunica". Perché?
A mio giudizio il motivo profondo sta
nell'assenza di un vero e proprio dibattito intraecclesiale.
Un'assenza che a sua volta deriva dalla mancanza di un'autentica
opinione pubblica dei credenti cattolici.
I motivi di questa situazione
andrebbero indagati con attenzione. Sono di natura storica, culturale
ed ecclesiale. Con riferimento al post Concilio, ci sarebbe da
ragionare su come e quanto incise il cosiddetto dissenso cattolico,
fenomeno che di fatto, avendo segnato una rottura netta con la
gerarchia, radicalizzò le posizioni e spaventò molti.
Ma c'è anche un problema di
conformismo dell'informazione. Si preferisce riferire senza
commentare, oppure si commenta in modo superficiale, oppure ancora si
tende quasi automaticamente a riverire e ossequiare.
Il risultato è evidente. La mancanza
di un'opinione pubblica si traduce in un grave deficit per la vita
ecclesiale. Tutti gli stimoli che potrebbero venire, in particolare,
dai fedeli laici sono soffocati all'origine e quando qualcuno si
comporta da cristiano adulto e osa pensare con la propria testa ecco
scattare la reprimenda da parte di altri laici che si ergono a
giudici e a difensori d'ufficio della tradizione e dell'autorità,
mentre in molti casi sono soltanto difensori dell'abitudine e del
potere.
La libertà di esprimere le proprie
idee senza paura è la precondizione dell'esistenza di un'opinione
pubblica, ma se di fronte ai commenti più liberi scattano subito le
accuse, gli insulti e l'emarginazione, come si può immaginare di
avere un'opinione pubblica? Avremo piuttosto, molto più
facilmente, schiere di adulatori.
Oggi alla Chiesa "manca il respiro"
dicono nel loro bel libro Saverio Xeres e Giorgio Campanini.
E manca anche perché il Concilio, a
quasi cinquant'anni dalla sua apertura, è sempre più
dimenticato, svalutato e negletto.
Uno dei risultati più tragici di
questa situazione è che si dice "Chiesa" e si pensa
automaticamente a "gerarchia". Si dice "Chiesa italiana" e si
pensa a "Cei" o addirittura a "presidenza della Cei". E in
questo quadro il laicato è tenuto in una condizione di infantilismo
culturale. Va bene, ed è accettato, fino a quando è funzionale
all'istituzione. Ma se osa rendersi autonomo e pensante (e, ripeto,
stiamo parlando di questioni opinabili, non di verità di fede), ecco
scattare, molto spesso proprio da parte di altri laici, l'insulto,
l'intimidazione, la soperchieria.
La comunicazione, all'interno della
Chiesa, è ormai soltanto unidirezionale: scende dal papa e dai
vescovi verso gli altri, ma dal popolo non sale nulla. O, quando sale
qualcosa, il messaggio incontra tanti di quegli ostacoli e di quei
disturbi da vanificare ogni tentativo.
Mancano luoghi di confronto paritario e
quelli che potrebbero svolgere questo compito sono diventati megafoni
della gerarchia, contribuendo così non alla formazione di
un'opinione pubblica ma, al contrario, a un sempre più marcato
processo di clericalizzazione.
Era il 1976 quando, al convegno di Roma
su Evangelizzazione e promozione umana, si accennava a questi temi.
Sono passati trentacinque anni e ci ritroviamo con un laicato non
solo scoraggiato, ma ormai disabituato al confronto e quasi incapace
di libera elaborazione culturale. E tutto questo proprio mentre le
tecnologie ci permettono di far circolare informazioni e idee molto
più ampiamente e velocemente di prima.
A più livelli il tema della possibilità di esprimere pareri, pensieri nella chiesa cattolica, si fa sempre più sentito ed è a firma di Aldo Maria Valli, scrittore e vaticanista , una bella riflessione sul blog vino nuovo.
All'autore e al blog tutta la mia simpatia.
Incapaci di discutere
Aldo Maria Valli
A mio giudizio il motivo profondo sta nell'assenza di un vero e proprio dibattito intraecclesiale. Un'assenza che a sua volta deriva dalla mancanza di un'autentica opinione pubblica dei credenti cattolici.
I motivi di questa situazione andrebbero indagati con attenzione. Sono di natura storica, culturale ed ecclesiale. Con riferimento al post Concilio, ci sarebbe da ragionare su come e quanto incise il cosiddetto dissenso cattolico, fenomeno che di fatto, avendo segnato una rottura netta con la gerarchia, radicalizzò le posizioni e spaventò molti.
Ma c'è anche un problema di conformismo dell'informazione. Si preferisce riferire senza commentare, oppure si commenta in modo superficiale, oppure ancora si tende quasi automaticamente a riverire e ossequiare.
Il risultato è evidente. La mancanza di un'opinione pubblica si traduce in un grave deficit per la vita ecclesiale. Tutti gli stimoli che potrebbero venire, in particolare, dai fedeli laici sono soffocati all'origine e quando qualcuno si comporta da cristiano adulto e osa pensare con la propria testa ecco scattare la reprimenda da parte di altri laici che si ergono a giudici e a difensori d'ufficio della tradizione e dell'autorità, mentre in molti casi sono soltanto difensori dell'abitudine e del potere.
La libertà di esprimere le proprie idee senza paura è la precondizione dell'esistenza di un'opinione pubblica, ma se di fronte ai commenti più liberi scattano subito le accuse, gli insulti e l'emarginazione, come si può immaginare di avere un'opinione pubblica? Avremo piuttosto, molto più facilmente, schiere di adulatori.
Oggi alla Chiesa "manca il respiro" dicono nel loro bel libro Saverio Xeres e Giorgio Campanini.
E manca anche perché il Concilio, a quasi cinquant'anni dalla sua apertura, è sempre più dimenticato, svalutato e negletto.
Uno dei risultati più tragici di questa situazione è che si dice "Chiesa" e si pensa automaticamente a "gerarchia". Si dice "Chiesa italiana" e si pensa a "Cei" o addirittura a "presidenza della Cei". E in questo quadro il laicato è tenuto in una condizione di infantilismo culturale. Va bene, ed è accettato, fino a quando è funzionale all'istituzione. Ma se osa rendersi autonomo e pensante (e, ripeto, stiamo parlando di questioni opinabili, non di verità di fede), ecco scattare, molto spesso proprio da parte di altri laici, l'insulto, l'intimidazione, la soperchieria.
La comunicazione, all'interno della Chiesa, è ormai soltanto unidirezionale: scende dal papa e dai vescovi verso gli altri, ma dal popolo non sale nulla. O, quando sale qualcosa, il messaggio incontra tanti di quegli ostacoli e di quei disturbi da vanificare ogni tentativo.
Mancano luoghi di confronto paritario e quelli che potrebbero svolgere questo compito sono diventati megafoni della gerarchia, contribuendo così non alla formazione di un'opinione pubblica ma, al contrario, a un sempre più marcato processo di clericalizzazione.
Era il 1976 quando, al convegno di Roma su Evangelizzazione e promozione umana, si accennava a questi temi. Sono passati trentacinque anni e ci ritroviamo con un laicato non solo scoraggiato, ma ormai disabituato al confronto e quasi incapace di libera elaborazione culturale. E tutto questo proprio mentre le tecnologie ci permettono di far circolare informazioni e idee molto più ampiamente e velocemente di prima.
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