giovedì 29 settembre 2011

Un “villaggio” da ricostruire

                           
La crisi che sta infiammando le borse del pianeta e avviluppa ogni stato mettendo in ginocchio l’economia reale, non può che coinvolgere ogni strato sociale, individui e famiglie.
Troppo facile presentarsi come profeta di sventura del tipo “ve l’avevo detto” oppure “era questione di tempo”. Troppo facile oggi presentarsi come i garanti del (bel ?) sistema in crisi.
Ho un altro passo, parto da altri presupposti. Validi alla stessa stregua di ogni altro presupposto; alieno da dogmatismi (di stampo economicistico quanto di vera o presunta morale oggettiva). Il presupposto da cui avanzo implica un atteggiamento di fede ricercata, non tesaurizzata a priori, corroborata da una ragionevolezza di fronte alla realtà. Inevitabile allora  talune domande che, detto tra noi in confidenza, mi pare siano desuete. Domande forti e proprio per questo, in un tempo debole o di “passioni tristi” fuori luogo perché scomode. Tanto più fastidiose quanto più reclamano risposte pratiche, individuali e familiari, messe in comune e socializzate; risposte che, mi pare, siano cartine di tornasole di una vita (di fede, da uomini giusti) semplice, non dissociata, integrale. La considerazione di partenza è una constatazione che in ogni frangente è possibile cogliere. Stiamo vivendo tutti al di sopra delle nostre reali possibilità. Lo constato andando a far la spesa, accompagnando mio figlio alla scuola; lo constato lungo la strada; nel mio ufficio di Patronato e di Assistenza fiscale.
Per emulare, per farsi invidiare, per apparire, per competere, per mascherare voragini esistenziali e fragilità. Senza pensiero aggiuntivo, senza possibilità di una pacata riflessione. Eppure non mi basta la prassi comune, il rito quotidiano, non mi contento del così fan tutti; non posso tacere domande anche semplici .  Mi rifiuto di entrare in un bar (uno qualunque dal più lussuoso allo sgangherato), trangugiare velocemente al bancone e pagare una tazzina di caffè novanta centesimi o un euro. E’ stupido, è un insulto all’intelligenza. Lo considero un ladrocinio tollerato e accettato. Quanti grammi sono? E’ poi così necessario? Non è possibile berselo a casa, utilizzare una cialda in ufficio (ventisette/trenta centesimi)? Trenta euro al mese sembrano pochi?  Trecentosessanta euro all’anno anche? Cosa ne dite di chi al bar fa la colazione?  Mamma/papà  e figlio quotidianamente colazione al bar sotto casa. Tre brioches e tre cappucci mettiamo 4/cinque euro? Millequattrocentosessanta/milleottocento euro son pochi all’anno? Sino alle scarpe per il bimbo, naturalmente griffate, naturalmente pagate cento/duecento euro. L’auto di grossa cilindrata per ostentare la potenza,…Vacanze, ristoranti, long drink,… Soggiogati dalla cultura del consumo valiamo/diamo peso all’acquisto, al quanto; siamo intrappolati e apparentemente felici in questa logica. Persino il sottofondo musicale nei centri commerciali e negli iper rende leggera la nostra spesa, inebetendoci nel vortice. Da famiglia operaia mi chiedo ancora che fine abbiano fatto le “schiscette” con un pranzo che sapeva di “casa”, con un occhio alla genuinità e un altro al risparmio. Dove sono finite l’attenzione a non sperperare, la sobrietà, quell’oculatezza quasi spartana nel quotidiano? Và forte oggi il “mangiare” al bar, spendi per cibi finti o quasi finti. Forse non ci si rende neanche conto. Viviamo nel big happy business.  Mi pongo allora una semplice domanda: a quanto siamo disposti a rinunciare? Mi spingo a ritenere che la moderazione, uno stile di vita semplice, austero che vada alla ricerca di formule di vita condivise, che si interroghi costantemente sul perché delle cose ricercandone il senso, sia consono al cammino di fede di uomini e donne che, chiamati alla libertà, non si lascino sopraffare.  E un’ultima domanda che suona retorica ma non lo è: Quanto siamo aiutati dal nostro “villaggio”, dalla nostra comunità, dalla nostra chiesa, dalla nostra famiglia a sperimentare un modello di vita più semplice ed insieme più umano, più giusto e più fraterno? Questa storia è un augurio per trovare e fare il “nostro” villaggio.


   In un villaggio una donna ebbe la sorpresa di trovare sulla soglia di casa uno straniero piuttosto ben vestito che le chiese qualcosa da mangiare.
<< Mi dispiace >>, ella rispose, <<al momento non ho in casa niente>>.
<< Non si preoccupi >>, replicò lo sconosciuto amabilmente. << Ho nella bisaccia un sasso per minestra: se mi darete il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre una pentola molto grande, per favore >>.
La donna era incuriosita. Mise la pentola sul fuoco e andò a confidare il segreto del sasso per la minestra a una vicina di casa.
Quando l’acqua cominciò a bollire, c’erano tutti i vicini, accorsi a vedere lo straniero e il sasso. Egli depose il sasso nell’acqua, poi ne assaggiò un cucchiaino ed esclamò con aria beata: << Ah, che delizia! Mancano solo le patate >>.
<< Io ho delle patate in cucina >>, esclamò una donna.
Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate tagliate a fette, che furono gettate nel pentolone.
Allora lo straniero assaggiò di nuovo il brodo.
<<Eccellente>>, gridò. Poi però aggiunse con aria malinconica:
<<Se solo avessimo un po’ di carne diventerebbe uno squisito stufato>>.
Un’altra massaia corse a casa per andare a prendere la carne, che l’uomo accettò con garbo e gettò nella pentola.
Al nuovo assaggio, egli alzò gli occhi al cielo e disse: << Ah, manca solo un po’ di verdura e poi sarebbe perfetto, veramente perfetto! >>.
Una delle vicine corse a casa e tornò con un cesto pieno di carote e cipolle. Dopo aver messo queste nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e dichiarò in tono imperioso: << Sale e salsa >>. << Eccoli >>, disse la padrona di casa. Poi un altro ordine: << Scodelle per tutti >>.
La gente corse a casa a prendere le scodelle. Qualcuno portò anche pane e frutta.
Poi si sedettero tutti a tavola, mentre lo straniero distribuiva grosse porzioni della sua incredibile zuppa.
Tutti provavano una strana felicità, ridevano, chiacchieravano e gustavano il loro primo vero pasto in comune.
In mezzo all’allegria generale, lo straniero scivolò fuori silenziosamente, lasciando il sasso miracoloso affinché potessero usarlo tutte le volte che volevano per preparare la minestra più buona del mondo.
                   

Nessun commento:

Posta un commento