lunedì 3 ottobre 2011

Cercatori di luce

“Se il bimbo nel seno della madre, preoccupato di uscire, contasse sulle sue sole forze e sulla sua abilità, non uscirebbe mai alla luce.
Ma c'è chi lo farà uscire.
È la dinamica stessa della natura, è il mistero di chi l'ha preceduto.
La nostra debolezza è che guardiamo a noi, sempre a noi, solo a noi". 

E’ una citazione che ho ricopiato anni addietro in uno dei tanti fogli disseminati un po’ ovunque per la casa ed è di Carlo Carretto nel Deserto nella città.
La settimana scorsa è venuta da me una coppia di sposi. Di recente hanno perso il loro unico figlio ventenne; la mamma di questo figlio in poche settimane è dimagrita più di venti chili, non và più al lavoro; è sostenuta da psicofarmaci e dalla presenza, anch’essa sofferente ma più trattenuta, del marito. Proprio il marito, il papà di quel figlio morto in un incidente stradale, nell’incontro che ho avuto, accomiatandosi mi ha detto che durante il percorso dalla chiesa al cimitero ripeteva rivolto al corpo nella bara, rabbioso e in continuazione, come un' astiosa litania: «Alzati! Vieni fuori da lì!». 
Se fosse umanamente possibile far tornare qualcuno dalla morte, l'amore dolente di questi genitori era tanto forte che ne sarebbe stato capace.
Ecco forse la novità da Dio: la risurrezione.   Davvero divina o forse proiezione umana: è la possibilità che ha l’uomo di far perdurare nel tempo ed oltre il tempo, nello spazio ed oltre lo spazio questa speranza che sottrae vita alla tomba, che dia senso all'essere nati. 
Mi è difficile sperare. 
So bene che la fede è una fiducia semplice, naturale, primordiale, istintiva. Non si appoggia su dimostrazioni e garanzie umane, fossero pure dogmi.
E ho scoperto che è nuda, debole, fragile, non ama esibirsi ed è lontana da ostentate granitiche certezze (semmai di queste bisognerebbe temere).
In certi momenti si accendono in noi alcune scintille, ma sono solo l'inizio della fede, l'inizio del chiarore di Pasqua.    Non posso dire di conoscere ancora la Scrittura, non l'ho ancora compresa.  Però, non ci sarebbero nemmeno questi sprazzi, se chi crediamo essere il Risorto non fosse in qualche modo già presente in noi, se già non avessimo e coltivassimo “naturalmente” nel nostro cuore il desiderio di vita. Di pienezza di vita.
Le Scritture dicono che le pie donne e poi alcuni discepoli videro il sepolcro vuoto e allora il loro cuore percepisce qualcosa, senza spiegazioni.  In fondo penso che la  resurrezione, non sia una dottrina, una teoria teologica.
È la naturale speranza che ci nasce dentro, quando anche con l'ascolto della Parola e quando anche con la preghiera si incontra Gesù come persona viva.  Quando anche siamo nel buio più cupo, e la nostra fede è desiderare di avere fede e nonostante tutto voler credere. Come si può ma con sincerità.
Forse ciò a cui siamo chiamati, consapevoli o meno, è essere bagliori di Pasqua ovunque ci troviamo.
Non siamo chiamati ad essere rappresentanti della fede, suoi propagandisti o docenti: solo barlumi di speranza, semi d’amore.   Quando ci sentiamo schiacciati da una croce, non cerchiamo qualcuno che ci faccia prediche devote, che ci ammonisca con pistolotti surgelati.  Per noi sono luce una presenza amica, un sorriso, un abbraccio silenzioso, la dolce determinazione a condividere il nostro peso, un gesto fatto di tenerezza.
La prima aurora fa baluginare l'alba. 
Così, dei credenti luminosi – non dei soldati o dei burocrati della religione – alimentano la speranza nella risurrezione.    Senza distintivi, privi di patentini da religiosi, come semplici samaritani. 
Umani solo profondamente umani.
Siamo cercatori della luce e di essa bagliori.




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