mercoledì 5 ottobre 2011

la nostra debolezza luogo d'incontro con Dio

Mi pare che sia tutto così fragile, debole. Che tutto necessiti di particolari cure e attenzioni. Che tutto richieda riguardi e considerazioni. E tempo. Ogni cosa andrebbe coltivata.
Viceversa attraversiamo il nostro vivere quasi di corsa, affannandoci e poco considerando incontri, persone, spazi, parole: tutto appare quasi dovuto, scontato. Mentre ogni cosa parla di fragilità (la relazione d’amore che stai vivendo, il lavoro, i rapporti con gli amici, la salute,..) noi cerchiamo sempre qualcosa di stabile, fisso.  In modo ostinato ripetiamo meccanicamente quei comportamenti che da sempre ci accompagnano: in fondo, pensiamo, se hanno funzionato innumerevoli volte, vuol dire che continueranno a funzionare.
Ci fidiamo della nostra esperienza, quella che riteniamo essere per noi l’unica fonte di verità.
 Scopro invece come il vivere proceda in nome della precarietà, di quella provvisorietà all’interno della quale ci stanno mescolati quei mille ingredienti che rendono l’esistenza di ciascuno unica e assolutamente irripetibile.  Mi trovo ora allergico e mi ritraggo udendo le grida di chi propone soluzioni definitive, assolute.  Di certezze perentorie, qualunque esse siano.
Mi ritrovo a riscoprire la presenza di Dio nella mia vita non come certezza granitica, come approdo definitivo ma come sorpresa assoluta, come Interlocutore che si rivela e comunica coi fatti (con gli incontri, le persone, gli spazi, la parola) travolgendo spesso le mie certezze. Ed è un ricominciare da capo per riannodare le fila di un rapporto dentro il quale mi sorprendo debole e in balia degli eventi, in ascolto.  Così mi pare che sia in questa debolezza il luogo dell’incontro, lo spazio favorevole all’accoglienza di Dio.



 "La fede non è un possesso definitivo, non è una certezza acquisita una volta per tutte: essa partecipa dell’insicurezza che caratterizza la libertà della persona e per questo nel cuore di ogni credente c’è una certa simultaneità di fede e di incredulità, come ci testimonia anche il Vangelo di Marco a proposito del padre del bambino epilettico che si rivolge a Gesù in questi termini: «Credo, aiutami nella mia incredulità!» (Mc 9,24). Il dubbio fa parte del credere, quindi la precarietà, l’incertezza fa parte della fede: ogni giorno la fede si rinnova vincendo il dubbio, accettando di non sapere, decidendo di acconsentire liberamente a una promessa, vivendo come pellegrini mai residenti, sentendosi non soli ma insieme ad altri, come in una carovana. (Enzo Bianchi, Da precario dico amen e attendo che Dio risponda,  Avvenire, 19 settembre 2010)


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