giovedì 20 ottobre 2011

La Chiesa di Cristo non è nell’istituzione, ma nella Sua e nella nostra incarnazione.

Ho seguito dai giornali e riviste i lavori del convegno dei cattolici italiani tenutosi a Todi. Parole e concetti che, con tutto il rispetto, mi sono sembrati giurassici, come le associazioni lì rappresentate. Non voglio essere dissacrante ma mi è parso di riascoltare le stesse istanze, le stesse logiche e "tecniche" ribadite a più riprese venti o trent'anni fa. I passi che conducono ad affermare giochi di potere, di appartenenze, di numeri da pesare in ragione di distintivi da esibire, privilegi da mantenere, interessi da coltivare, fedeltà dichiarate da ostentare. E' una logica povera. Ne intuisco l'aspetto umano, teneramente umano.  Eppure...sappiamo tutti che molte sigle associative lì presenti hanno solo il logo ricco di tradizione e storia ma rinsecchito in quanto a partecipazione. Ce la contiamo ancora che queste realtà esprimono le masse cattoliche. La realtà è meno rosea di quanto ci viene ripetuto. L'umanità sembra andare altrove assetata e affamata di giustizia, cercando ristoro,  amore, condivisione. E và dove trova, dove sente di essere accolta per quel che è.
  Riporto due interventi provenienti da sensibilità, e culture diverse. Per me, pellegrino sotto questo cielo, due piccoli segnali, due stelline che mi fanno ben compagnia e sperare in questa stagione grigia.

Il primo è un breve intervento tratto da  "la Repubblica" del 20 ottobre 2011  ed è di Michele Serra; il secondo è la lettera che Ermanno Olmi scrive ad "Avvenire" del 19 ottobre scorso a seguito di alcuni interventi del suo ultimo film "Il villaggio di cartone".




I valori cattolici
di Michele Serra


Che cosa unisce un missionario comboniano e un vescovo lefebvriano? Una sola cosa, la fede
cattolica. Ma per cultura, visione del mondo e degli uomini, pratiche sociali, idee politiche, i due
sono esattamente agli antipodi. Schematizzando: estrema sinistra, estrema destra. In mezzo, ci sono
milioni di cattolici che votano Berlusconi credendolo un difensore della famiglia tradizionale, e
quasi altrettanti cattolici che lo spregiano come accanito profanatore dei loro convincimenti morali:
segno oggettivo del fatto che i "valori cattolici", per gli uni e per gli altri, non sono assolutamente
gli stessi. Chiedete a Giovanardi che cosa pensa dei diritti dei gay, e chiedetelo a un prete di strada
come don Gallo, e otterrete risposte inconciliabili tra loro. Entrambe di cattolici.
Dev´essere per questa totale variabilità e mutevolezza della presenza cattolica nella società e nella
politica che fatico a mettere a fuoco dibattiti come quello conseguente al raduno di Todi. Rivolgersi
"ai cattolici" o definirsi cattolici vale, in politica, quanto rivolgersi a tutti, e dunque a nessuno. In
una società secolarizzata come la nostra, la politica, la cultura, la maniera di stare in società di ogni
essere umano ne orientano i pensieri e gli atti in modo assai più determinante della confessione
religiosa.   (la Repubblica)


Ermanno Olmi: «Così leggo la carità»
Caro direttore,
ricevo “Avvenire” fin da quando, molti anni fa, con cari amici ormai lontani, vedemmo uscire dalle rotative il primo numero del giornale. L’affezione e l’ammirazione sono sempre stati per me saldi riferimenti quotidiani per il rigore e la libertà d’opinione dei suoi collaboratori e quindi per il rispetto del lettore. Tanto che ho molto apprezzato gli interventi apparsi in “Agorà” dopo l’uscita del mio ultimo film Il villaggio di cartone. E di questa attenzione nei miei riguardi, caro direttore, la ringrazio e, se lo riterrà utile per i suoi lettori, mi farà piacere se pubblicherà queste mie note sul dibattito che ne è seguito.     Giovanni Bazoli, prima sul “Corriere della Sera” e poi su “Avvenire”, pone l’attenzione su due contrapposti valori invocati dal vecchio prete, protagonista dell’apologo cinematografico. Che dice: «Ho fatto il prete per fare del bene. Ma per fare del bene, non serve la fede. Il bene è più della fede». Subito, un intervento di Marina Corradi su “Avvenire”, mi rimprovera: «di coltivare così tanti dubbi di fede che la storia (del film) rischia di perdere la radice e il fondamento della carità dei cristiani». Ma come sarebbe «la carità dei cristiani»? Dunque ci sarebbero più carità? E quella dei cristiani è forse tanto speciale e diversa da quella di altre fedi religiose? Mi piacerebbe conoscere l’elenco delle diverse carità. Bazoli chiarisce: «Il film è da intendere come un richiamo forte e drammatico all’esercizio e della carità e dell’accoglienza nei confronti di uomini che sono tra i più indifesi e disperati del nostro tempo; vale come monito a intensificare l’impegno religioso e umano». Ugualmente, Marina Corradi insiste: «In realtà il bilancio del vecchio sacerdote sembra viziato da un equivoco. Non ci si fa prete “per fare del bene” ma per portare Cristo agli uomini, che è assai di più». La fede è in sé un valore, ma non è determinante per fare del bene. Né il fare del bene ha mai ostacolato la fede di alcuno. La fede è innanzitutto un sentimento che ciascuno coltiva nel profondo di sé, in solitudine. E con tale stato d’animo parteciperà la sua fede con quella dell’altro, in comunione con Dio. Un’altra voce che ha partecipato a questi interrogativi sul primato tra fede e carità è quella di Piero Coda, teologo e presidente dell’Istituto universitario Sophia: «Conosciamo tutti l’inno alla carità che l’apostolo Paolo tesse nel capitolo 113 della Lettera ai Corinzi. L’agape è la via che tutte le altre sopravanza. Non avere l’agape significa essere nulla». E prosegue: «L’agape è la cifra compendiosa di tutto il mistero cristiano». Come vede, caro direttore, mi appello a autorevoli testimoni della cristianità. Ed ecco che ancora Piero Coda mi suggerisce sant’Agostino: «La carità spinse Cristo a incarnarsi». È di pochi giorni fa, in Egitto, il divampare di conflitti fra appartenenze religiose mettendo l’una contro l’altra. E soltanto ieri, a Roma, la dissennata violenza di giovani praticata con la rabbia della distruzione. E mi domando se è del tutto azzardato pensare che anche questi giovani allo sbando non provino un loro delirante atto di fede in una “religiosità” criminale. Ancora una volta la Storia ci avverte che il vincolo tra fede e “Chiese delle diversità” può avere esiti di immani tragedie. E sappiamo anche che, nel corso dei secoli, le religioni hanno avuto necessità di cambiamenti imposti dai radicali mutamenti delle realtà che inarrestabilmente sopravvenivano. E quindi, concili, riforme e controriforme, sempre per adeguarsi con significati nuovi alle esigenze del cammino della Storia. Dunque: anche le religioni cambiano e cambiano i nostri comportamenti. Solo il bene non cambia. Ma il bene non è esclusività di istituzioni. La Chiesa di Cristo non è nell’istituzione, ma nella Sua e nella nostra incarnazione. (Avvenire)


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